Delitto di Giulia Tramontano: quando l’aggravante discrimina la vita

Il nostro socio Prof Pierfrancesco Impedovo, processual-penalista e criminologo, si sofferma sulla delicata questione di diritto sottesa al caso della povera Giulia.

Una donna incinta è una donna che ha un’altra vita con sé. C’è, dunque, qualcosa in più che entra in gioco. C’è qualcun’altro a cui viene fatto un torto. Il torto supremo di portar via la vita. Nell’omicidio di una donna incinta accade qualcosa di doppiamente orrendo.

In queste ore gira in rete un hastag “#duplice omicidio” per sensibilizzare l’opinione pubblica a chiedere di cambiare il capo d’imputazione a carico di Alessandro Impagnatiello (risultato tecnicamente impossibile rebus sic stantibus), reo confesso dell’uccisione della giovane Giulia Tramontano incinta al settimo mese di gravidanza. 

Ricordiamo che il barman è imputato di omicidio volontario aggravato, occultamento di cadavere ed interruzione di gravidanza non consensuale. 

La domanda rivolta alle scienze giuridiche è quindi semplice.

Uccidere una donna incinta è duplice omicidio? 

Negli Stati Uniti d’America sì. 

Il governatore Eric Holcomb ha infatti promulgato una legge che riconoscere anche il bambino nel grembo come vittima, nel caso venga uccisa la donna che lo porta.

Ciò vuol dire che sia che si tratti di omicidio volontario, che di omicidio colposo il reato è duplice.

La norma vale «in qualsiasi fase dello sviluppo» del bambino e non è rilevante se l’autore del reato fosse consapevole o meno della gravidanza. Il secondo omicidio comporta un aggravamento di pena da sei a vent’anni. 

Per il nostro ordinamento, invece un feto non è ancora una persona. E se ciò che uccidi non è una persona “tecnicamente” non è stato un omicidio.

In caso di un omicidio di una donna incinta è quindi considerato come omicidio di una persona -con delle aggravanti, certo- ma non un duplice omicidio. Perché per la legge è stata uccisa una sola persona. Il feto viene considerato a tutti gli effetti un “pezzo” della madre, non una vita autonoma. 

Questo almeno finché il feto vivo non si è distaccato, in modo naturale o indotto, dall’utero materno. O a partire dal travaglio, secondo interpretazioni più recenti e meno restrittive del concetto di “uomo” (cfr Cas. 27539/2019). 

Per differenziare quindi il reato da procurato interruzione di gravidanza a omicidio ci deve essere il passaggio dalla vita intrauterina a quella extra uterina con la manifestazione del primo atto respiratorio. In altre parole il feto deve nascere vivo.

Pertanto, la legge italiana attualmente non prevede il riconoscimento del duplice omicidio in caso di assassinio di una donna in gravidanza, indipendentemente dal mese di avanzamento della stessa.

Da qui il sorgere in queste ore di un vasto movimento d’opinione atto a promuovere, nelle nelle opportune sedi governative, la richiesta di un intervento legislativo, affinché venga riconosciuto il duplice omicidio quando la vittima è una donna in gravidanza in stato avanzato e giungere ad infliggere pene più gravi.

  • l’Italia, purtroppo, non è nuova a casi di questo genere: 2001, Silvia Cattaneo 26 anni di Arese, 2003 Monica Ravizza 24 anni di Milano, 2006 Jennifer Zacconi 22 anni di Olmo di Martellago, 2017 Irina Bakal 21 anni di Formeniga, solo per citarne alcuni. 

La posizione del diritto penale di fronte ai temi dell’inizio e della fine della vita umana è accomunata non solo dalle zavorre ideologiche che, almeno in certi casi, sono in grado di “appesantire” l’opera dell’interprete e/o del legislatore, ma anche, su un piano per certi aspetti opposto, dalla necessità di fare i conti con gli incalzanti progressi della scienza e della tecnica. 

Rispondere ai quesiti “quando si nasce?” e “quando si muore?” in una prospettiva giuridica è divenuta un’operazione particolarmente complessa, visti, da una parte, gli studi sempre più dettagliati sull’embrione e, dall’altra, le tecniche che consentono di prolungare le funzioni vitali di un individuo ben al di là di quanto fosse anche solo immaginabile ai tempi di compilazione del codice penale. 

Il codice penale, come s’è detto,  assume come discrimen di tutela della vita il momento della nascita, che segna anche l’applicazione della fattispecie di omicidio comune (art. 575 c.p.) o, in presenza di condizioni di abbandono morale e materiale, di infanticidio (art. 578 c.p.). La “nascita” deve essere intesa come il distacco del feto dall’utero materno, naturale o indotto: prima di questo momento possono trovare applicazione i delitti di aborto, dopo questo momento si apre la via all’applicazione dei delitti di omicidio. 

Una legislazione ragionevole, forse, dovrebbe anzitutto predisporre una tutela il cui grado di incisività corrisponda ai diversi stadi di sviluppo del concepito, in accordo con gli interessi di cui è titolare la madre (rectius, la donna), senza contare la necessità di delineare un sistema intimamente coerente di tutela penale della persona in limine vitae e in limine mortis: pur nella consapevolezza che l’“equilibrio perfetto” non è un obiettivo giuridicamente raggiungibile, specie quando a venire in considerazione siano gli interrogativi essenziali relativi alla stessa condizione umana (Cos’è la vita? Cos’è la morte?). 

Attendiamo fiduciosi.

Pierfrancesco Impedovo

Giulia Tramontano: un femminicidio e un figlicidio figli della società dell’Ego.

Il nostro socio Prof. Michele Colasuonno, psicologo e teologo, ci accompagna in una riflessione struggente e schietta sulla genesi di questi tragici avvenimenti.

Mentre mi trovo davanti al foglio bianco, cercando le parole, sentendo le emozioni, sfogliando ogni sorta di manuale o libro che mi aiutino a commentare quanto accaduto a Giulia Tramontano, la Tv è accesa e il Tg riporta ancora un femminicidio, quello di Pier Paola Romano.

Una sola domanda mi sorge: dove stiamo andando?

In questi giorni, anche per via del mio ruolo di psicologo responsabile del trattamento degli offender per l’associazione fermiconlemani, approfondivo lo studio di un testo e mi sono imbattuto in un capitolo dal titolo “Uomini che esercitano violenza sulle donne: una lettura alla luce della teoria dell’attaccamento”, e l’autore con competenza e senso realistico, riporta anche dati sociologici: da sempre, da quando è nata la società maschilista la violenza sulle donne, purtroppo aggiungerei io, è stata socialmente accettata e taciuta, ma che forse non arrivava mai a tanta crudeltà e violenza, per vari motivi; ma come l’autore anche io mi chiedo può questo giustificare uno stile aggressivo, violento, predominante nelle relazioni?

Oggi ci troviamo non solo davanti ad un femminicidio ma anche ad un figlicidio, sì perché Giulia era al settimo mese di gravidanza.

Dove stiamo andando?

Lascio ad altro spazio tutto quello che può riguardare la teoria dell’attaccamento (sarei troppo prolisso), e mi chiedo che fine ha fatto il Super-Io di freudiana memoria, dove sia finita la scala dei valori che governa la mente e l’agito di ogni persona; il narcisismo ci sta portando verso la soddisfazione esclusiva dei nostri bisogni a scapito della vita delle persone che ci circondano e che, in certi casi, sosteniamo di amare e, ancora di più, a scapito della vita di un nostro figlio.

Non c’è più tempo. Urge fare qualcosa che fermi questa mattanza di valori, questa mattanza di rispetto, la solitudine del narcisismo ci sta portando verso una disumanizzazione dell’Umano.

Da docente di una materia che mi permette di entrare in contatto con i miei alunni  senza l’ansia della fine del programma, ritengo che la scuola possa essere uno dei luoghi dove ancora si potrebbe insegnare l’umanizzazione, dove oltre alle tante materie assolutamente utili e indispensabili, si potrebbe scalfire il narcisismo maligno dilagante, ma per poter fare questo bisogna fare scelte concrete e audaci, forse politicamente poco produttive, ma umanamente molto utili. 

Tutto già detto forse, lo sgomento e il dolore irromperanno nuovamente alla prossima notizia che ascolteremo.

Ma ora lasciatemi fluire tutto il dolore per il piccolo Thiago, questo il nome del bambino che Giulia aveva in grembo:

Caro papà, quando ero nella pancia di mamma non ho mai avuto paura. Lì era bello; ad ogni passo che lei faceva mi sentivo cullato, il battito del suo cuore era una musica dolce che ascoltavo prima di addormentarmi. 

Poi, a volte, sentivo qualcosa che mi toccava un piedino, o il braccio: erano le tue mani papà. Potevo riconoscerle, perché a differenza di quelle delle mamma, si muovevano con un po’ di timore. Forse avevi paura di farmi male o di darmi fastidio. Invece a me piaceva. Mi sentivo felice. Quando hai iniziato a parlarmi, piano piano ho imparato a riconoscere anche la tua voce; che buffo eri quando mi cantavi quelle canzoncine, o quando mi raccontavi delle domeniche che sarebbero arrivate, dei giochi con la palla, della scuola, delle gite. Che ridere papà. Anche la mamma rideva, forse anche lei pensava che tu fossi buffo. 

Un giorno è successo qualcosa di strano; ho fatto una capriola e avevo tantissima voglia di nuotare…sentivo la mamma un po’ ridere e un po’ piangere. Poi ho riconosciuto la tua voce. Dicevi alla mamma che era bravissima, che stava facendo un buon lavoro. Dicevi che da lì a poco, io sarei stato tra le sue braccia e che doveva mettercela tutta. 

Quando finalmente sono nato, vi ho sentiti. Ho sentito la pelle della mamma e il sapore del suo latte. Ho sentito cadere sulla mia testa gocce di lacrime. Ma eccole li: le tue mani. Le ho riconosciute perché si muovevano con lo stesso timore di quando mi accarezzavi attraverso la pancia. E finalmente mi sono sentito al sicuro.

Da quel momento ti sei preso cura di me. Hai smesso di andare alle partite di calcetto, ora giochiamo insieme a bubusettete. Hai smesso di guardare i film di paura, ora insieme leggiamo tanti libri di fiabe. Hai smesso di andare a dormire tardi perché ora, quello che ti piace, è addormentarti abbracciato a me. Quando mi cambi il pannolino, sei sempre il solito papà buffo che ho sempre pensato! Le tue smorfie mi fanno ridere un sacco! 

Ora sono un po’ più grande. Sto crescendo papà, e non ho paura. So di potere scalare il divano, perché tu sei vicino a me. So che posso fare le corse, perché se cado un tuo bacio fa passare il dolore. So che posso combinare tutti i disastri del mondo, perché quando la mamma mi rimprovererà, tu sarai mio complice e dietro di lei mi farai l’occhiolino. 

Papà, promettimi una cosa: promettimi che anche quando ti arriverò alle spalle non smetterai di raccontarmi di mostri e pirati, non smetterai di fare capanne con sedie e coperte ma soprattutto continuerai a fare ridere la mamma. Grazie papà, per avermi regalato te stesso. 

Con tutto il bene del mondo, il tuo bambino.” – Maria Russomanno –

Ecco tutto quello che ti sei perso, Alessandro Impagnatiello. 

Prof. Michele Colasuonno

la lettera citata è tratta da: https://www.chizzocute.it/lettera-al-papa-da-un-neonato/

Omicidio Giulia Tramontano

“Ciò che c’è fuori è il riflesso di come siamo dentro”…

Le riflessioni della nostra socia fondatrice Carmela Milone, pedagogista e psicomotricista.

Purtroppo siamo vittime di un sistema distorto e che distorce il nostro modo di condurre la vita.

Di fronte ad avvenimenti come quello capitato alla povera Giulia, leggo la rabbia, la delusione per non avere certezze e sicurezza, specie da chi è preposto a questo compito.

Alla luce degli avvenimenti ci sarebbe da rassegnarsi ad un modo di procedere senza futuro, senza speranza. Questo mi ha fatto riflettere e cercando dentro sento di condividere il mio pensiero.

Sono entrata in associazione come socia fondatrice perché credo che io posso fare la mia parte per creare un mondo migliore, almeno nel mio quotidiano e credo che questo può espandersi e influenzare chi mi circonda. Parliamo troppo spesso di avvenimenti negativi, alimentiamo inconsapevolmente il negativo e non ce ne rendiamo conto.

Cerchiamo tutti la pace l’armonia, il bello ma quanto spazio e quanto tempo vi dedichiamo? Cominciando da noi stessi. Come parliamo a noi stessi? Come ci comportiamo con noi? Il mondo è il riflesso di ciò che noi siamo dentro.

Ci sono delle leggi universali che non possiamo prescindere: “Come è dentro così è fuori, come è sopra così è sotto…etc..”; quindi vediamo la guerra, la violenza, il malessere ma ci siamo chiesti quanto ci tutto ciò è dentro di noi?

Ci sono esperienze ed esperimenti che sono stati fatti, di cui non si parla, che dimostrano come cambiando la realtà personale l’ambiente intorno cambia.

Io sono qui in questo progetto perché credo che cambiando me stessa contribusco a cambiare la realtà esterna. Mettendo un seme di luce e occupandomi di farlo splendere sempre di più.
È un impegno, una fatica, avvolte ma non per questo voglio sottrarmi al mio scopo.
Sono sicura che questo si aggiunge ai tanti piccoli semi di luce che nel mondo, nell’universo brillano di già.
Abbiamo bisogno di fiducia, di pace, di amore e ciascuno può fare la differenza se non altro per onorare le vittime e far si che questi eventi non si ripetano.
Posso sembrare una illusa, ma credo fermamente che l’unione di intenti è molto potente. Per questo ci vogliono azioni che partano dal cuore.


Non vorrei dilungarmi ancora ma ho sentito di esprimere le mie emozioni e pensieri anche per tutte coloro che sono andate nell’oltre.. che ringrazio e benedico per il loro sacrificio.

Carmela Milone

Edipo non è Caino

Riflessioni sui possibili scenari di incostituzionalità del Codice Rosso del nostro socio Pierfrancesco Impedovo, processual-penalista e criminologo.

La particolare vicenda processuale di Alex Pompa, il 22enne che il 30 aprile 2020 a Collegno (Torino) uccise a coltellate il padre nel corso dell’ennesima lite di quest’ultimo con la madre, potrebbe innescare un cambiamento nel trattamento sanzionatorio previsto dal “codice rosso” in alcune circostanze specifiche; vediamo quali.

In primo grado Alex era stato assolto perché «il fatto non costituisce reato», agì per legittima difesa. Secondo i giudici aveva dovuto scegliere «se vivere o morire».

In appello il pg Alessandro Aghemo ha ribadito la richiesta che già la pubblica accusa aveva formulato in primo grado: condanna a 14 anni di reclusione, sottolineando che si tratta del minimo possibile. 

Dopo una lunga camera di consiglio, la Corte d’Appello ha di fatto ribaltato il verdetto di primo grado, emanato un’ordinanza (e non una sentenza), dalla quale si ricava il convincimento che non si sia trattato di legittima difesa e nemmeno di eccesso colposo, ma che in ordine alla quantificazione della pena apre una “breccia” nel Codice Rosso di portata potenzialmente ampia.

La Corte, «visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 e seguenti della legge 87 del 1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3 e 27 comma 1 e 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 577 comma 3 del codice penale nella parte in cui impedisce il giudizio di prevalenza ai sensi dell’articolo 69 codice penale delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante della provocazione rispetto alla circostanza aggravante prevista per il delitto di omicidio volontario in relazione al fatto commesso contro l’ascendente dall’articolo 577 comma 1 numero 1 del codice penale. Sospende il giudizio fino all’esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale. L’udienza è tolta».

I giudici della Corte hanno dunque sollevato una questione di legittimità della norma, introdotta dal cosiddetto ”Codice Rosso”, che in questi casi (omicidio aggravato dal vincolo di parentela) vieta di poter dichiarare la prevalenza di alcune attenuanti e quindi di poter applicare uno sconto di pena. 

È stata la difesa a chiedere che venisse sollevata la questione. Ovviamente la richiesta era in subordine rispetto a quella di conferma della sentenza di assoluzione di primo grado.

Tecnicamente, la riforma del 2019, il Codice Rosso, non solo ha inasprito le pene per gli autori di reati commessi in contesti familiari, ma ha altresì inserito nel codice penale una norma che impedisce di considerare prevalenti talune attenuanti sull’aggravante del vincolo di parentela, per evitare l’applicazione di pene poco severe nei casi di violenza endofamiliare. 

La Corte ha dunque escluso la legittima difesa, manifestando l’intenzione di voler riformare così la decisione del primo grado e accogliendo la tesi dell’accusa; tuttavia ha riconosciuto che Alex, a causa del gravissimo contesto familiare in cui ha vissuto per anni con un padre violento, meritasse le attenuanti generiche e quella della provocazione.

Ogni attenuante dovrebbe fornire la possibilità di ridurre la pena di un terzo. Però in questo caso, in virtù della riforma del 2019, esse possono essere riconosciute solo come equivalenti, e non come prevalenti, alle aggravanti. 

Questa situazione, ad avviso della difesa, genera una disparità di trattamento perché Alex verrebbe condannato alla stessa pena di uno che non merita le attenuanti. La Corte ha dunque accolto questa lettura della norma e ha investito la Consulta della questione.

Anche il pubblico ministero si è detto favorevole a sollevare il dubbio. Comunque aveva chiesto 14 anni, la pena minima possibile per un omicidio volontario, considerata altresì la semi infermità mentale del ragazzo accertata da una perizia psichiatrica. 

La Corte, in sintesi, ha sospeso la Camera di Consiglio, escludendo la legittima difesa, quindi ritenendo di dover condannare Alex. Però, ai fini della quantificazione della pena, ha rimesso gli atti ai giudici costituzionali.

I possibili due scenari: qualora la Consulta ritenesse incostituzionale quella parte della norma, per Alex le attenuanti sarebbero riconosciute prevalenti sulle aggravanti e quindi potrebbe essere condannato a 7 o 8 anni di reclusione. 

Se invece rigettasse la questione di incostituzionalità verrebbe condannato a 14 anni di carcere. 

Quanto fin qui esposto, lungi dal voler essere una disanima sulla vicenda umana e processuale di Alex (su cui non è nostra intenzione esprimere alcun giudizio, né etico, né tantomeno giuridico), rappresenta una doverosa riflessione sulle potenziali modificazioni del Codice Rosso; norma che per un’associazione come Fermiconlemani, da sempre impegnata nella prevenzione e nel contrasto ad ogni forma di violenza, rappresenta (pur con le debite riserve) una risposta efficace sul piano repressivo a molte fattispecie incidenti sui fenomeni di violenza domestica e di genere.

Pierfrancesco Impedovo

“Pro-fessione” d’amore…

Una riflessione etica del nostro socio Prof. Michele Colasuonno, teologo e psicologo.

Dott.ssa Barbara Capovani – Pisa 2023

Dott.ssa Paola Labriola – Bari 2021

Cosa hanno in comune questi due nomi, entrambe uccise sul lavoro, entrambe psichiatre, entrambe uccise da pazienti.

Ripercorrere gli avvenimenti mi sembra una ripetizione, tanti gli articoli anche in rete che li descrivono dei dettagli.

Scrivere delle patologie dei due una ripetizione anche questa, cercare di cosa si tratta per quel che i manuali dicono, sono tanti i siti che li descrivono.

Scrivere di tutto quello che andrebbe cambiato per far funzionare le cose e della tanta burocrazia che non permette di lavorare come si dovrebbe, mi sembra inutile e non questo il posto giusto.

E allora ho pensato di riflettere su tre termini:
Amore (carità);
Rischio;
Passione.

amore, non solo amore per il lavoro, amore per il sapere, o una semplice “philia” generalizzata, ma amore inteso come carità, amore profondo, che muove ogni cellula di chi decide di mettere tutto se stesso al servizio di un certo tipo di persone, quelle che il dott. Andrioli definisce persone di vetro, persone che hanno bisogno di tanto amore, persone che per quanto la burocrazia ce lo imponga, non possono essere semplicemente incasellate in aride classificazioni per i sintomi clinici che manifestano. Persone che ogni volta decidono di sedersi su una poltrona di uno psichiatra o di uno psicologo, portano ogni loro paura, timore, angoscia, valore, idea, pensiero; ogni loro parte la mettono a nudo, e forse per la prima volta si sentono veramente ascoltati fino in fondo, vengono e ci aprono l’anima, ed è per questo che c’è bisogno di tanto amore, amore che supera ogni giudizio, amore che chiunque fa un lavoro del genere deve portare, provare e muovere in ogni istante.

Rischio, si, se è vero che in un lavoro del genere c’è bisogno di tanto amore, bisogna mettere in conto un pizzico di rischio, rischiare in una valutazione, rischio che quella persona di vetro sia troppo fragile e andando in frantumi ti colpisca con una scheggia di vetro. Rischio che metti in conto, rischio che accetti, e che possa oscurare la luce della passione per quello che si fa.

passione per un lavoro che ogni giorno si rivela nuovo e pieno di sfide: passione per le persone, passione per l’inoltrarsi nelle stanze più nascoste dell’anima, stanze che a volte neanche la persona stessa conoscere; passione per portare nel buio di quelle stanze una piccola luce.

Sì, per lavorare con le persone di vetro c’è bisogno di amore, rischio e passione ed anche se ciò che è accaduto non è giusto, non ha senso e non può avere una giustificazione, stare accanto alle”persone di vetro” è quello che tanti professionisti fanno ogni giorno, forse anche per far continuare a vivere nella memoria e nei cuori di tutti noi coloro che non ci sono più per amore della propria missione.

Michele Colasuonno

FERMICONLEMANI ANCORA PARTE CIVILE IN UN PROCESSO PER MALTRATTAMENTI

Oggi, avanti al GUP del Tribunale di Bari, si è celebrata la prima udienza preliminare dell’ennesimo processo a carico di un soggetto maltrattante.

L’uomo è accusato di aver, per oltre due anni, perseguitato due membri della sua famiglia costituitisi parte civile per il tramite dall’Avv. Vincenzo Rubino.

L’associazione Fermiconlemani, patrocinata dal procuratore speciale –l’avvocata e socia Francesca Lombardi-, ha avanzato a sua volta istanza di costituzione di parte civile a supporto delle vittime vessate da reiterate aggressioni fisiche e violenze psicologiche.

<<Grazie alla professionalità, competenza e dedizione di tutta l’equipe legale della mia associazione che ringrazio – tiene a sottolineare la presidentessa di Fermiconlemani l’avv.ta TizianaCecere -, continuiamo a stare al fianco di tutte le vittime di violenza, dando il nostro contributo affinché riconquistino pienamente ciò che è stato loro tolto, moralmente, psicologicamente e legalmente. Questa nuova iniziativa processuale, che arriva dopo numerose altre già ammesse, può considerarsi un ulteriore tassello nell’esperienza della nostra associazione, a costante valorizzazione del lavoro di prevenzione e contrasto ad ogni forma di violenza svolto quotidianamente sul campo, attraverso attività d’informazione, ascolto, assistenza legale, contatto con i servizi territoriali e dunque attraverso la creazione di una rete di concreto sostegno alle vittime. Riconoscere ad associazioni antiviolenza come la nostra la legittimazione a stare in giudizio quale parte danneggiata dai reati contestati al maltrattante, è una conquista di altissimo valore civico al fine di ribadire che la violenza, perpetrata in qualsiasi forma o contesto, ha una ricaduta oltre che nella sfera individuale delle vittime, anche in quella collettiva, in un’ottica di responsabilità dell’intera società>>.

Quando i bambini giocano ad uccidere

L’analisi criminologica del nostro socio fondatore Dott. Marco Magliozzi sull’agghiacciate assassinio di una dodicenne in Germania ad opera di due coetanee

Domenica scorsa, il 12 marzo, i cittadini di Freudenberg (Germania) si sono svegliati accolti da una notizia sconvolgente: è stato ritrovato il corpo senza vita e martoriato di una ragazzina di 12 anni all’interno di un bosco.

Luise – questo è il nome della giovane vittima – sarebbe stata accoltellata numerose volte da due sue coetanee, le quali avrebbero subito confessato il delitto.

In un Paese come quello tedesco, che si sforza di apparire come un popolo il più possibile integerrimo e rispettoso della legge, questo accadimento lascia davvero interdetti.

Lo stesso vicequestore, Juergen Sues, afferma: “Dopo oltre 40 anni di servizio, questo caso mi lascia senza parole”.

Ciò che lascia tutti esterrefatti sono, senza dubbio, sia la giovane età delle ragazzine accusate sia il modus operandi: un over killing sul corpo della vittima, martoriata da innumerevoli pugnalate.

Il movente sembra essere la vendetta, un modo per regolare i conti dopo che Luise avrebbe preso in giro una delle ragazzine incriminate.

Cosa succederà ora alle giovani assassine?

Secondo la giurisdizione tedesca, i crimini compiuti dai cittadini al di sotto dei 14 anni non ricadono sotto responsabilità penale.

Le autorità competenti saranno invece gli uffici di assistenza ai giovani, che molto probabilmente ordineranno misure riabilitative-educative.

Cosa ci insegna questa vicenda?

Come Associazione attenta al benessere individuale e collettivo non possiamo ignorare una vicenda simile, anche se accaduta lontano dal nostro Paese.

Le dinamiche violente, che sempre più si diffondono tra i giovani, sono una problematica molto presente anche nel nostro territorio.

Regolare i conti con un’amica, a causa di una presa in giro subita, ricorrendo all’omicidio è un campanello d’allarme enorme, gigantesco, che ci fa comprendere quanto alcuni giovani adolescenti non posseggano ancora quella sensibilità di percepire il prossimo come un essere umano, ma si arrogano il diritto di poter decidere le sorti della sua vita, arrivando addirittura a strappargliela via.

Le radici di questo folle gesto andrebbero scovate nel contesto familiare, nella società di appartenenza, nell’ambiente scolastico:

nessun ragazzo nasce criminale ma ci diventa, a causa del tipo di educazione (non) ricevuta, magari di una mancata o difficile integrazione nel gruppo dei pari o di traumi/esperienze negative vissute ma mai elaborate.

Impossibile, dunque, non aver mai colto i segnali violenti di queste due ragazzine prima d’ora. Il lapsus, e la criminologia clinica ce lo insegna, non esiste. Dentro le menti di queste due giovani omicide già c’era il seme della violenza. Come è possibile che genitori, amici, famiglia, insegnanti, non se ne siano mai accorti?

L’importanza della prevenzione a scuola

Ecco perché, soprattutto oggigiorno, è più che mai necessario fare prevenzione e sensibilizzazione.

Viviamo in una società che ci propina giornalmente contenuti violenti, attraverso serie-tv, film, social, quasi a voler inviare il messaggio: la violenza è normale.

Non è così!

In adolescenti fragili, la cui identità (Io) ancora non è ben sviluppata, questa dinamica altro non fa che mettere radici e costruire, nel tempo, la pericolosa idea che i problemi possano essere risolti usando le maniere forti, addirittura ricorrendo all’omicidio.

E’ importantissimo, dunque, dar vita ad eventi, incontri, workshop, laboratori, che coinvolgano attivamente i giovani, i loro genitori, gli insegnanti, così da veicolare sani messaggi educativi, basati sul rispetto e l’amore reciproco.

“Fermiconlemani” cerca di far ciò ogni giorno, sperando di offrire anche un piccolo contributo e permettere ai giovani di vivere in un mondo migliore.

Dott. Marco Magliozzi, psicologo, psicoterapeuta, criminologo, Trainer in PNL bioetica

Il nostro progetto registrato “Cassetta Help” attivo anche in Emilia Romagna

Ravenna 10 maggio 2023

È innegabile che la pandemia e i suoi strascichi abbiano determinato una crescita esponenziale della fenomenologia violenta on line e off line.

Sono aumentati i reati di maltrattamento contro familiari o conviventi, gli episodi di violenza fisica, aggressione sessuale, diffamazione a mezzo social, anche tra i giovanissimi, in particolare le dinamiche di cybershaming, cyberbullismo, vessazione psicologia, mobbing coniugale, omicidio, uxoricidio e family murder aventi come target di elezione le donne.

La violenza on line e off line è un problema sociale e il ruolo delle associazioni anti violenza sul territorio è indispensabile per sensibilizzare, dare visibilità e accrescere nella società la consapevolezza che la violenza è un problema pubblico che danneggia il nostro sistema di valori, con particolare riguardo ai giovani, ai gruppi di pari e ai soggetti vulnerabili.

Informare si, ma soprattutto offrire strumenti concreti di prevenzione e aiuto: questa la ricetta!

Su questa scia la nostra associazione da anni vanta un progetto volto all’ascolto e al sostegno delle vittime di qualsiasi forma di violenza o discriminazione: “Cassetta Help”, una cassetta rossa dove chiunque sia vittima o spettatore di dinamiche violente o viva relazioni e situazioni malsane, patologiche e allarmanti altrimenti non facilmente intercettabili a causa della paura e della vergogna, possa lanciare una richiesta di aiuto o fare una segnalazione, anche in forma anonima.

Nella richiesta di aiuto è possibile indicare il proprio recapito per essere contattati da un volontario esperto o si può scegliere di rivolgersi direttamente allo sportello virtuale all’800 822 538 (il numero è in evidenza sulla targa posta accanto ad ogni cassetta), per ricevere supporto o prenotare un appuntamento presso i centri di ascolto posti sul territorio.

Al progetto hanno aderito il comune di Bari, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bari, e ancora i comuni di Casamassima, Putignano, Triggiano, Ruvo di Puglia, Sant’Antonio Abbate (Na) e Scorrano (Le); si aggiunge oggi Cesenatico, ridente località emiliana, grazie alla lungimirante sinergia fra l’amministrazione locale e l’associazione ravennate, partner di Fermiconlemani, Crisalide Odv presieduta dalla signora Antonella Valletta, instancabile eroina di grandi battaglie di prevenzione.

Per la collocazione della cassetta si è scelta via Aurelio Saffi, sede di alcuni uffici comunali; presenti alla cerimonia inaugurale la vice sindaca Lorena Fantozzi e la Dott.ssa Federica Petrelli psicologa responsabile del “Centro donna”, la delegazione di Fermiconlemani costituita dalla presidentessa Tiziana Cecere e dai soci Pierfrancesco Impedovo e Daniela Corrado, nonché la presidentessa di Crisalide Odv Antonella Valletta.

Presidente di Fermiconlemani Avv.ta Tiziana Cecere: <<Silenzio e indifferenza sono molto pericolosi e diventano alleati della violenza: come Associazione, insieme al supporto e alla collaborazione dell’associazione nostra partner Crisalide Odv, sentiamo il dovere morale di contribuire a smuovere le coscienze in favore di una cultura di parità di genere, della non violenza e della non sopraffazione. Desideriamo costruire ogni giorno un futuro che neghi la violenza in generale, soprattutto per i più giovani, non soltanto contro le donne ma contro ogni essere vivente; questa la nostra mission condensata nel nostro slogan da me coniato: “Tutto ciò che desideri è dall’altra parte della paura>>.

Processo Miniello: il ginecologo rinviato a giudizio

Fermiconlemani fra le parti civili ammesse

Sarà giudicato innanzi alla seconda sezione penale collegiale del Tribunale di Bari il ginecologo barese Giovanni Miniello, per rispondere di una serie di episodi di violenza sessuale tentati e consumati a danno di sue pazienti.

Questo l’esito dell’udienza preliminare conclusasi quest’oggi innanzi al GUP del Tribunale di Bari Dott. Ferraro che ha visto, tra l’altro, l’ammissione delle costituzioni di parte civile di numerose persone offese, dell’ordine dei medici e di diverse associazioni antiviolenza fra cui Fermiconlemani rappresentata dalla socia Avv.ta Daniela Corrado.

Presidentessa di Fermiconlemani Avv.ta Tiziana Cecere: “per noi è fondamentale agire all’interno del procedimento penale nella veste di accusatori privati affiancando le donne offese, perché la violenza è un reato che lede l’intera comunità. Molto importante è sottolineare che la legittimazione attiva a costituirsi parte civile nei processi per crimini violenti della nostra associazione è stata riconosciuta già da diversi organi giudicanti in svariati altri processi, grazie alla corposa attività dell’associazione, documentata in atti al momento della costituzione, forte di anni di presenza sul territorio contro le discriminazioni e contro la violenza in ogni sua manifestazione, che si è consolidata anche grazie al lavoro sinergico con istituzioni e con altre associazioni, attraverso una rete sul territorio di sportelli di ascolto, assistenza legale-informativa e percorsi di prevenzione; un lavoro fatto di impegno e risorse proprie. 

Procuratore speciale Fermiconlemani Avv.ta Daniela Corrado:” Questa vicenda giudiziaria rimarrà impressa non solo nel mio percorso professionale ma nella mia esistenza, per la grande responsabilità affidatami di rappresentare l’associazione di cui sono socia, dando così rilievo a quelle dinamiche che concernono non soltanto le vittime ma l’intera collettività. Procedimenti di questo genere devono avere un effetto aggregante, per dare alle vittime la percezione di non essere sole. Non nascondo la grande emozione che provo nell’essere parte attiva in questa vicenda giudiziaria”.

L’associazione Fermiconlemani, nonostante non riceva fondi pubblici, è sempre in prima linea al fianco delle vittime di violenza, sostenendole e offrendo loro assistenza legale, psicologica e  di empowerment personale”.

LA VIOLENZA: PARADIGMA DEL NOSTRO TEMPO

Ragazzi col “virus” della violenza.

La presidentessa, Avv.ta Tiziana Cecere, e il nostro socio, Prof. Pierfrancesco Impedovo, riflettono su un tema cruciale del nostro tempo: la violenza giovanile.

Gesti come quello a cui si è assistito sul palco dell’Ariston qualche giorno fa mettono in atto un rituale primitivo che spinge alla caccia di capri espiatori o vittime; qualcuno vorrebbe liquidarlo circoscrivendolo ad una sorta di improvvisa reazione post-pandemia.

Questa ipotesi è solo un modo per tentare di scaricare le responsabilità di un disagio giovanile che è esploso sì con il Covid, ma che già covava da anni, tantissimi anni e senza che nessuno se ne occupasse.

Non solo bullismo e cyberbullismo. Quella che comunemente chiamiamo violenza giovanile può assumere tante altre forme, prendendo di volta in volta le sembianze dello stupro, dello stalking, dell’autolesionismo o di quella che diffusamente viene definita come “revenge porn”, ovvero la condivisione pubblica non autorizzata di immagini e video intimi tramite Internet per vendetta.

Ad essere coinvolti un esercito di adolescenti che sempre di più mettono in atto comportamenti aggressivi a scuola, in famiglia, in gruppo e addirittura in coppia, senza avere spesso la consapevolezza della gravità delle loro azioni.

Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, 2 adolescenti su 50 hanno subìto aggressioni fisiche dal proprio partner già a partire dai 14–15 anni, 1 adolescente su 10 ha paura della persona che ha a fianco e 3 ragazzi su 50 si sentono incastrati nella propria relazione sentimentale perché vittime di minacce.

Una pletora di violenti, figli di un’assenza di pilastri educativi, di modelli autorevoli, figli del conflitto, della disgregazione familiare, scolastica e sociale.
Giovani che ritengono il loro comportamento un banale gioco e un momento di divertimento, senza conoscere il rispetto per se stessi e gli altri.

Il problema è che, la maggior parte delle volte, la violenza è nascosta dietro un’apparente normalità ed è per questo che diventa così difficile comprendere il senso del suo dilagare fin dalla più giovane età.

C’è poi un’altra faccia, poco attenzionata, della violenza che riguarda quasi esclusivamente le giovani generazioni: l’autolesionismo.

In Italia, nonostante sia un fenomeno molto diffuso, non si vuole parlare di autolesionismo e non si fa prevenzione e questo porta i ragazzi ad aver paura del confronto, a nascondersi nei rifugi virtuali, nei social e nei gruppi pro-autolesionismo.

I ragazzi che arrivano ad avere comportamenti autolesivi lo fanno perché ne hanno bisogno, perché sentono un impulso irrefrenabile che non sanno controllare, una sofferenza interna che non sono in grado di gestire, che li invade e che devono scaricare sul corpo. È proprio il corpo, infatti, che racconta il loro dolore interno; ogni segno e ogni cicatrice rappresenta una ferita aperta, racchiude un’emozione che ha preso il sopravvento e che li ha schiacciati da un punto di vista psicologico, rappresenta l’unico modo per loro di esprimere una sofferenza altrimenti indicibile.

É riduttivo pensare che chi mette in atto questi comportamenti in maniera sistematica lo faccia per attirare l’attenzione. Questi ragazzi vivono in profondo conflitto, con la paura di non essere compresi e di essere scoperti, si sentono stigmatizzati ed emarginati dalle famiglie, dalla scuola e dalla società.

La nostra pluriennale esperienza nella prevenzione e nel contrasto ad ogni forma di violenza ci insegna che se vogliamo davvero combattere questa piaga, specie fra le giovani generazioni, dobbiamo spogliare vittime e carnefici dei loro ruoli, ridare loro dignità, la possibilità di scegliere, di affrontare se stessi e il mondo circostante senza paura.

Sempre più adolescenti crescono e vivono in un contesto sociale che usa il linguaggio della violenza a tutti i livelli, dove non si tende al confronto ma allo scontro.

Se si continuano a sottovalutare questi fenomeni, metteremo sempre i cerotti mentre si dovrebbe affrontare il problema sul nascere, a partire dalle scuole primarie, lavorando realmente sulla prevenzione.

Per questo Fermiconlemani costantemente promuove all’interno degli istituti scolastici di ogni ordine e grado una serie di eventi volti alla prevenzione della fenomenologia violenta online e offline, con la specifica finalità di valorizzare il ruolo dell’istruzione nel favorire il rispetto reciproco.

La sfida del nostro tempo è quella di rafforzare e ricostruire alleanze educative, allargare le reti di collaborazione tra le istituzioni scolastiche, enti locali e terzo settore, con tutte le associazioni che operano sul territorio. Questo è lo strumento per potenziare l’offerta educativa dalla più tenera età fino a quella adulta, sostenere le famiglie, combattere i fenomeni di devianza, per ricucire il tessuto sociale, rimettendo al centro la persona, garantendo inclusione e crescita.

Non sarà facile ma è tempo di aprire la via della prevenzione, se vogliamo davvero contrastare la violenza.

Fermiconlemani C’è!