Dipendenze affettive e narcisismo: donne che rincorrono i lupi

Il corso si è tenuto a gennaio 2021 ed è stato orientato ad individuare il significato di narcisismo, le sue origini e le più note teorie, a tracciare il profilo della personalità narcisistica negli aspetti personali e interpersonali.

L’iniziativa ha avuto le finalità di fornire strumenti, linee guida, spunti di riflessione e sostegno per chiunque entri in contatto con una personalità narcisistica analizzando il funzionamento narcisistico di personalità, focalizzandosi sull’autostima e sulla disregolazione emotiva.

La metodologia dell’incontro si basa sulla partecipazione attiva: i temi sono trattati valorizzando le esperienze personali, le opinioni, i punti di vista, le emozioni dei partecipanti.

Il planning dell’incontro prevede attività motivazionali, potenziamento dell’autostima, introduzione al narcisismo dalle origini ad oggi, individuazione di linee guida per riconoscere un narcisista, strumenti di sostegno per gestire una relazione con un narcisista, spunti di riflessione su come evitare una relazione con un narcisista, miglioramento delle relazioni tramite l’empatia, confronti sugli strumenti legali di tutela, analisi dei casi di crimini violenti, racconto di esperienze personali.

I professionisti coinvolti sono psicologi, psicoterapeuti, esperti in comunicazione, criminologi, pedagogisti, donne con la propria esperienza personale. Il presidente di Fermiconlemani, Tiziana Cecere: “ L’ultima edizione si è tenuta il 22 gennaio 2021 ma ogni edizione rinnovata del workshop “Donne che Rincorrono i Lupi” è sempre speciale e colma di scambi professionali, di emozioni ed evoluzioni personali delle partecipanti e dei partecipanti. Esatto, ho detto proprio “partecipanti” perché anche gli uomini sono molto interessati. I discenti durante il workshop imparano a riconoscere il narcisismo patologico e quello funzionale per la nostra autostima.”

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Manipolazione mentale: intervista a Lorita Tinelli

Cosa si intende e come si applica la manipolazione mentale? Soprattutto, rivolta alle donne che in questo momento storico stanno sopportando il peso maggiore. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Lorita Tinelli, psicologa, criminologa ed autrice di diverse pubblicazioni.

Quando si parla di donne al tempo del covid viene in mente la super eroina Wonder Woman. Si, perché nell’ultimo anno sulle donne è andato il peso maggiore di questa situazione, si sono occupate dell’impeccabile ordine e igiene della casa, hanno accudito figli e mariti, hanno svolto le mansioni di docenti scolastiche e hanno dovuto lavorare in smart working. Insomma, le donne ai tempi del COVID 19 sono state davvero messe a dura prova e purtroppo moltissime hanno deciso di abbandonare il lavoro. Appunto parlando di smart working si è dato quasi per scontato che far conciliare la gestione della famiglia e del lavoro fossero problemi solo delle donne in particolare mamme. Ciò non crea più di tanto sgomento evidentemente poiché pare che il 27% delle donne lasci il lavoro dopo la nascita del primo figlio.

Da dati raccolti da Agenda 2030 Asvis : in Europa la percentuale di donne inattive a causa di impegni di cura familiari ha raggiunto il 31%, con un peggioramento negli ultimi dieci anni.

Se l’associare la cura dei figli e della casa debbano essere attribuite secondo l’opinione ricorrente, per predisposizione naturale alle donne: tale affermazione da un punto di vista dell’evoluzione della vita familiare, ci farebbe fare un salto indietro di almeno cinquant’anni. Eppure dal 2011 al 2017, ben 165.562 donne hanno lasciato il lavoro specialmente per le difficoltà di gestire lavoro e bambini in tenera età. Purtroppo il trend è ancora in aumento: erano 17.175 nel 2011 e nel 2017 sono salite a 30.672. In Italia i dati dell’Ispettorato del Lavoro su base nazionale relativi al 2017 riportano che : Tre su quattro donne che hanno lasciato il lavoro  il 77 per cento del totale sono mamme. Eppure gli esempi da altri paesi europei sono diversi, infatti nei paesi dove le donne lavorano di più, come Francia e paesi nordici, nascono anche più bambini. Paradossale pensare che in Italia per radice culturale e sociale esista ancora uno sbilanciamento uomo/donna tra la distribuzione dei compiti uomo/donna all’interno della famiglia. Basti sapere che il 51/% degli italiani ritenga che le donne debbano occuparsi dei figli e della casa e ciò fa si che praticamente gli uomini nel lavoro procedano più veloci rispetto alle donne. Gli economisti delle università di Cambridge, Oxford e Zurigo  hanno estrapolato una statistica: sia le madri lavoratrici che quelle disoccupate impegnano circa sei ore a fornire assistenza all’infanzia e istruzione ogni giorno, invece gli uomini valutati come padri medi trascorrano a casa poco più di quattro ore nel fare la stessa attività.

Tale abisso nel divario di genere è stato rafforzato durante la pandemia diventando più frequente e quasi normale nelle famiglie con reddito alto, dove solitamente si preferisca che sia l’uomo a lavorare poiché maggiormente retribuito. Tale atteggiamento agli occhi di molti e soprattutto degli esperti di fenomeni sociali ha dato impulso all’osservazione del fenomeno e alla sua tracciabilità sotto il profilo storico partendo da dati statistici certamente collegati al più noto negozio giuridico : il matrimonio. Da una raccolta dati dell’ISTAT nel 2015 si sono celebrati 194.377 i matrimoni celebrati, un’impennata rispetto al periodo di riferimento dell’anno 2008 che è stata mantenuta anche nel 2016 nel 2017. Risulta che in Italia le donne nonostante raggiungano in tempi brevi la laurea e in misura maggiore degli uomini, gran parte delle stesse ambisca al matrimonio come tappa della vita “quasi obbligatoria” e ad un certo punto come si suol dire “richiedono l’anello mancante” dimenticando tutti i sacrifici fatti in passato nello studio e nel lavoro e, a volte, mettendo da parte loro stesse. Da quanto suddetto ci chiediamo come mai ad un certo punto della loro vita le donne legate sentimentalmente ad un uomo poco prima del matrimonio o durante “mollano” il lavoro.

Dobbiamo pensare che nel 2020 per gran parte delle donne sia impossibile far combaciare una vita professionalmente appagante, l’ambizione e la carriera con la gestione della famiglia o anche semplicemente con il desiderio di farsela? Negli ultimi mesi molte donne sembra siano state obbligate a fare una scelta: a causa dell’emergenza CODIV 19 le donne madri, mogli e lavoratrici non c’é l’hanno fatta da sole a gestire tutto e hanno abbandonato la carriera. Allora occorre affrontare l’argomento per dare una spiegazione convincente e per capire se dietro tali modus operandi si celino scelte personali o imposizioni. Tutti sia uomini che donne siamo alla ricerca dello stato di benessere e felicità nelle diverse aree della nostra vita, soddisfacendo i nostri bisogni emotivi, psicologici e mentali più profondi ma sarebbe utile comprendere nelle relazioni di coppia il rispettivo approccio della grande maggioranza degli uomini e delle donne in relazione al condizionamento dei pensieri sociali, storici e dei retaggi culturali ancora esistenti. E’ demotivante pensare che dopo tante lotte messe in atto da movimenti a tutela delle donne per acquisire diritti nella società e spazi negli ambiti professionali i concetti di libertà ed indipendenza non siano poi del tutto veri.

Sicuramente la scelta di molte donne dai 30 ai 40 anni che abbandonano una carriera anche spesso importante e soddisfacente conquistata con sacrifici per dedicarsi esclusivamente alla famiglia senza un motivo concreto visibilmente (es. senza parenti anziani da accudire, senza lutti da metabolizzare,  senza particolari problemi personali da affrontare…) desta moltissime perplessità agli occhi degli esperti poiché per l’opinione pubblica accudire i figli e gestire la casa non è considerato un lavoro produttivo però lo è ed entra nel calcolo del PIL se tale lavoro viene espletato da una baby sitter o da una colf. Tale fenomeno apre la breccia a numerosi interrogativi che meritano risposte soddisfacenti e anche ad analisi sotto un profilo sociale, psicologico, criminologico, economico e storico da parte di esperti considerando che nelle relazioni di coppia il rapporto sovente non è paritario ed equilibrato. Dunque le ragioni culturali e di educazione secondo il ruolo di genere nel nostro paese pongono l’uomo nella posizione di essere ammirato dalla propria compagna, concentrandosi sulle ambizioni e sulle performance lavorative solo sotto il profilo maschile. Può essere che le donne patiscano tali condizionamenti in un contesto sociale ove ancora alle donne è richiesto il ruolo di donne compassionevoli bisognose di appoggio e protezione e che vengano spesso influenzate dall’uomo nella scelta della loro vita professionale e privata perché orientate a pensare : “quanto è bello e bravo e capace l’uomo sottostimando il loro valore e la loro intelligenza di donne.

Abbiamo voluto approfondire il tema sotto un profilo più specificatamente psicologico legato anche alla manipolazione mentale che molte donne subiscono, chiedendo un parere alla Dr.ssa Lorita Tinelli, psicologa ad indirizzo clinico, criminologa, studiosa delle dinamiche di manipolazione mentale e autrice di diversi libri e articoli sull’argomento, fondatrice del C.E.S.A.P. Centro Studi Abusi Psicologici.

Chiediamo alla Dr. Lorita Tinelli:

D:“quali sono le tipologie di donne più inclini a subire il condizionamento psicologico dell’uomo, nelle relazioni di coppia?”

R: Dacia Maraini nella prefazione del testo della psicoterapeuta Robin Norwood “Donne che amano troppo”, nell’edizione economica della Feltrinelli, esprime una lucida considerazione sulle motivazioni che spingono una donna a vivere una relazione “alterata” dal punto di vista affettivo. Una favola tormentata, basata sulla negazione e sul controllo, piuttosto che sull’accettazione.

La Maraini sostiene che le donne, per ragioni storiche, sono più portate a “pensare male di sé”. E’ stato loro insegnato che sono deboli, dipendenti per natura, paurose, fragili, bisognose di protezione e di guida. Alcuni di questi insegnamenti, per quanto superati, sono entrati a far parte dell’inconscio femminile. Tuttavia, quello che maggiormente influenza negativamente le relazioni sentimentali, compromettendole, sono le esperienze di attaccamento con una famiglia disfunzionale, dove nessuno si è curato dei bisogni emotivi dell’altro. Il mancato vissuto di un affetto autentico trasforma la donna in una dispensatrice di amore e cura da riversare a coloro che sembrano in uno stato di bisogno, relegandola nel ruolo di “crocerossina”. Inoltre, la paura dell’abbandono le farà fare qualsiasi cosa per impedire che quella relazione possa finire, anche quella di aspettare, sperare, continuare di sforzarsi di piacere, assumersi più del 50% delle responsabilità, colpe e biasimo della relazione ed anche a rinunciare a qualsiasi tipo di autonomia.

In queste donne l’autostima è talmente bassa da far credere di non meritare di essere felici e realizzate, ma che piuttosto bisogna guadagnarsi il tutto, sempre, anche con delle rinunce.

Tutto questo porta inevitabilmente a vivere dinamiche di violenza psicologica e fisica

D:“quali sono i meccanismi che alcuni uomini mettono in atto nella relazione amorosa per convincere la donna di non aver valore e di non essere in grado di gestire la famiglia e il lavoro?”

R: Le tecniche di condizionamento vengono praticate con mezzi materiali o psicologici e sono finalizzate a porre la vittima in uno stato di soggezione che escluda o limiti la sua libertà di autodeterminazione. Possono essere usate pressioni psicologiche, come minacce, suggestioni, indottrinamenti, ma anche induzioni di sensi di colpa. La colpa è una delle motivazioni principali per le quali le donne accennano relazioni disfunzionali con uomini altrettanto patologici. Ma anche l’isolamento. Essa è una modalità molto utilizzata che consiste nel far interrompere o raffreddare tutti i contatti sociali e affettivi della vittima, in modo che essa sia sempre più vulnerabile e senza possibilità di aiuto.

Tutto questo indebolisce, giorno dopo giorno, la vittima, distruggendone completamente l’autostima e rendendola sempre più dipendente dalla relazione.

 D.“si possono inquadrare in caratteristiche particolari sotto un profilo psicologico gli uomini che mettono in atto tali comportamenti?”

R: Il manipolatore affettivo è una persona centrata su se stessa e sui suoi bisogni, che mette in atto una serie di strategie per mantenere il controllo del suo territorio e della sua preda. Comunica con le sue vittime in maniera confusa e ambivalente, spesso sarcastica e allusiva. Ma è anche capace di momenti di love bombing. Il tutto confonde la vittima che attiva inevitabilmente tutta una serie di risposte volute dal manipolatore, tali da diventarne dipendente.

D.“le tecniche di manipolazione mentale in cosa consistono e in queste può rientrare anche il  “mansplaining ?”

R: “le tecniche di manipolazione si prefiggono di rendere acquiesciente una vittima e farla rientrare in un rapporto di dipendenza, dove il carnefice ha il controllo di tutto. Alcune delle tecniche più comuni, già citate in queste pagine sono il love bombing, l’induzione di sensi di colpa e l’isolamento. Altre riguardano il controllo delle informazioni cui può accedere la vittima, una incessante ripetizione di concetti e regole da seguire, ricompense e punizioni rispetto a comportamenti accettati o meno dal carnefice. Il mansplaining, termine coniato dalla scrittrice Rebecca Solnit, indica un atteggiamento ‘paternalistico’ che spesso gli uomini utilizzano per spiegare alle donne cose che ormai loro sanno. Esso di sicuro è un rafforzativo della dinamica manipolatoria agita, in cui vengono maggiormente definiti i differenti poteri delle parti in gioco”.

La Dr.Lorita Tinelli ha offerto un prezioso contributo in questo articolo e con la sua partecipazione alla Conferenza Webinar “Sceglie Me o il Lavoro-Le donne che barattano il lavoro con l’amore- Tecniche di Manipolazione Mentale”, tenutasi il 4/6/2020 , alle ore 18:30, sulla pagina dell’A.P.S. Fermiconlemani, insieme alla scrivente Avv. Tiziana Cecere (Pres. Di Fermiconlemani), all’Avv. Giuseppina Di Nubila (Giudice di Pace presso il foro di Bari), l’Avv. Feliciana Bitetto (Pres. A.D.G.I. Associazione Donne Giuriste Italiane di Bari) durante il cui incontro è stato analizzato approfonditamente il fenomeno segnalato in questo articolo in una prospettiva di controllo delle relazioni tossiche e disfunzionali per prevenire i crimini violenti nelle coppie e nelle famiglie.

Ogni volta che una donna lotta per se stessa, lotta per tutte le donne . “(Maya  Angelou)

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Selfie: chi sono i sensation seeker e quali rischi corrono gli adolescenti

Lanciamo un monito a tutti i genitori affinché vigilino sulla mania da selfie che potrebbe colpire i propri figli, in quanto indice di una potenziale patologia. Si chiamano sensation seeker e sono i cercatori di emozioni forti, disposti anche a correre rischi per ottenerle.

Abbiamo analizzato il fenomeno proprio dei selfie perché spesso siamo difronte ad una mania, altre volte addirittura sembrerebbe nascondersi una vera e propria malattia. Ad affermarlo è un gruppo di ricercatori della Nottingham Trent University e della Thiagarajar School of Management a Madurai in India. A dire degli studi effettuati, questo nuovo disturbo mentale presenta diversi livelli di gravità.

Il primo detto borderline, quello più lieve, chi soffre di selfite si scatta almeno tre selfie al giorno senza pubblicarli sui social network. Invece chi risulti affetto da selfite acuta si fotografa almeno tre volte al giorno e le pubblica sui social, ma ben più grave risulta la selfite cronica fattispecie in cui i selfie diventano vere e proprie ossessioni incontrollabili e ingestibili. Tanto è vero che da ricerche statistiche gli amanti delle reti sociali pubblicano un selfie almeno una volta a settimana, per il 63% una volta al giorno, nel14% dei casi e più volte al giorno, nel 13% dei casi ogni 2/3 ore. La pubblicazione del selfie sul web deve raggiungere il miglior risultato possibile in termini di consensi con like perciò pare che la gran parte degli appassionati scatti almeno 4 selfie prima di procedere alla pubblicazione.

Ci siamo chiesti il perché. Quali sono le motivazioni che spingono gran parte degli amanti del web e dei social network a ritrarsi in selfie con commenti forbiti e spesso accattivanti e maliziosi?

Viviamo in un era ammalata di esibizionismo e di affermazione della propria identità evidentemente compromessa da carenza di stima in se stessi e delle proprie capacità. Nell’era dell’”accelerazione delle emozioni” diventa prioritario seguire le tendenze in voga al momento e fare quello che fanno tutti gli altri per timore della riprovazione sociale, dell’esclusione, si esprime la necessità di affermazione della propria identità esponendosi in pubblico con immagini. Probabilmente considerare “la mania del selfie” una malattia mentale potrebbe risultare un po’ esagerato ma d’altronde fare troppi selfie pare celi delle insicurezze e un costante grande bisogno di ricevere conferme dagli altri. Ma lascio la parola agli esperti di psicologia che potrebbero valutare se dietro all’autoscatto eccessivo potrebbe nascondersi qualche problematica più o meno grave, di natura psicologica. Ciò su cui dobbiamo focalizzare l’attenzione é che la comunicazione dei social network e l’aumento dei selfie sono diventati parte integrante della vita quotidiana dei teenager. 

I teenager di oggi i cosiddetti “Millennials” con data di nascita compresa tra il 1980 e il 2000, come scrive il Time rappresentano una generazione di narcisisti la cosiddetta: ^Me Me Me Generation^. Questi adolescenti dei tempi moderni sono appassionati di sensazioni forti dette sensation seeker (alla lettera: cercatore di sensazioni) si riferisce a un tipo di personalità in costante ricerca di sensazioni nuove e intense, unita alla disponibilità a correre rischi per ottenerle. Tali individui non cercano il rischio di per sé, esso è però una conseguenza del fatto che le sensazioni più forti possono essere sperimentate, spesso, solo in situazioni estreme. Ciò che il seeker non sopporta è la noia. È come se queste persone avessero una soglia della noia tarata su un livello molto basso, potendo restare solo un breve tempo senza attivarsi per scrollarsela di dosso. Sempre alla ricerca dell’ultima novità, dell’ultima release di vissuto inebriante, del modo migliore per ridurre la prevedibilità nella propria esistenza. Il seeker è insomma un impaziente.

Da ciò va da sé che due adolescenti su tre sono vittima di cyberbullismo e un teenager su quattro pubblica almeno un selfie al giorno e ben il 35% dei giovani ammette di aver fatto un selfie in condizioni di rischio, estreme, altamente pericolose, come alla guida dell’autovettura, del motorino o in bilico sul terrazzo di un grattacielo. Gli esperti dello studio delle condotte criminali certamente non sottovalutano che negli ultimi 5 anni sono aumentati vertiginosamente i furti di identità digitale sui social, la detenzione di materiale pedopornografico, il reato di stalking, il reato di diffamazione online, il reato di minacce e molestie, e di “sextortion”: una richiesta di denaro estorsiva con ricatto dopo l’invio di fotografie che ritraggono la vittima in pose osé.

Sono aumentate le vittime di cyberbullismo e le vittime quali minori di reati contro la persona (dai 14 ai 17 anni).

Strano ma vero, purtroppo molti utenti del web credono che tutte le azioni “apparentemente semplici e inoffensive” messe in atto nella rete, in particolare sui social network come inviare messaggi, postare foto, commenti, notizie o intrattenere relazioni virtuali, siano un gioco, una sorta di passatempo privo di ogni rilevanza giuridica ed emotiva, sottovalutandole erroneamente. I risultati tratti dalle statistiche sono davvero inquietanti e ciò deve sollecitare i professionisti addetti alla prevenzione dei reati in particolare di quei reati ai danni dei bambini e degli adolescenti a valutare, studiare e offrire alle famiglie e agli educatori spunti e riflessioni e sensibilizzazioni per arginare i fenomeni causati dall’utilizzo distorto della rete facendo rivalutare ai giovani la propria quotidianità rispetto alla vita virtuale.

Da tale modalità di prevenzione nasce l’idea di creare “progetti specifici” come “Cosa aspiri a diventare” per la prevenzione dei crimini violenti tra i giovani e delle condotte a rischio adolescenziali, nella sensibilizzazione a ridurre l’abuso di stupefacenti e di alcool, e in stretto collegamento in particolare alle ultime due dinamiche anche nella prevenzione degli incidenti stradali. Fermiconlemani é un’associazione di promozione sociale, formata da un team di professionisti, quali educatori dei minori, pedagogisti, psicologi, psicomotricisti, avvocati e criminologi che si impegna tra le attività nella valutazione e analisi delle sensation seeker coordinati tutti nell’impegno prioritario di diffondere un pensiero di rallentamento e controllo delle emozioni forti e di aumento di consapevolezza del sé e delle identità degli adolescenti. Se non è facile essere genitori ai tempi dei social media, certamente diventa complicatissimo ai tempi del COVID 19 e certamente non possiamo pensare che la soluzione sia eliminare i social dalla vita dei propri figli, risolvendo così il problema alla radice anche perché paradossalmente in questo delicato periodo rappresentano un contatto con il mondo “oltre le mura domestiche”. L’indicazione generale è che sarebbe sempre meglio ritardare il momento di collegamento dei bambini con la rete informatica e i social lasciarli vivere la loro infanzia slegati dalle tecnologie digitali: avranno una vita intera per vivere il web, e prima o poi arriverà il momento in cui non si potrà negare loro di aprire un profilo Facebook o Instagram. Quando quel giorno arriverà, sarà meglio che siano prepararti e ben consapevoli di cosa hanno di fronte.

Occorre, pertanto, un’adeguata informazione nella materia in questionein primis con riferimento agli adulti: oltre a sensibilizzare i giovani all’uso corretto delle proprie immagini in rete, è altrettanto importante educare i genitori, che spesso creano identità digitali ai loro figli – totalmente inconsapevoli – senza preoccuparsi delle ripercussioni future di tale gesto. Ci si trova di fatto al cospetto di una vera e propria ‘nuova frontiera’ del Diritto di Famiglia. Diventa per questo fondamentale il sostegno dei genitori nell’accompagnare i figli in questo percorso, cercando di comprendere insieme a loro limiti e opportunità, rischi e pericoli, senza la paura di far emergere le criticità insite in questi nuovi media. I genitori sono chiamati a rispondere ad una delle sfide più importanti dei nostri tempi: educare i propri figli all’utilizzo dei nuovi media. Perché se, a volte, in questi luoghi virtuali, che sono oramai un’estensione delle nostre vite reali, “comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Riteniamo che la famiglia che si trovi ad affrontare l’educazione rappresentata anche dalla gestione di emozioni, affettività, sessualità, non possa essere lasciata sola nell’affrontare questioni delicate. 

Avv. Tiziana Cecere, presidente “Fermi con le mani”

Dr.ssa Tamara De Luca, vicepresidente “Fermi con le mani”

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