Un seminario per riflettere e tracciare strategie di prevenzione
Il prossimo 19 ottobre presso la biblioteca comunale di Modugno, si terrà un importante seminario organizzato da Ikos Ageform in collaborazione con la nostra associazione dal titolo “Nella mente del branco!”.
L’incontro che inaugura la stagione formativa 2024, vedrà fra i relatori oltre alla prof.ssa Daniela Poggiolini monumentale fondatrice della scuola Ikos, la nostra presidentessa Avv.ta Tiziana Cecere in qualità di esperta criminologa.
Il seminario, per il suo alto valore scientifico, gode dei patrocini dell’Ordine degli Avvocati di Bari (che concederà 2 CFU), dell’Ordine degli Psicologi della Puglia e del comune di Modugno che lo ospita.
Il nostro socio, Prof. Pierfrancesco Impedovo criminologo e giurista, illustra la genesi di questa iniziativa.
L’idea di questo tavolo di approfondimento nasce dall’allarmante escalation di episodi in cui il “branco” è protagonista; tutti ricorderanno l’orribile stupro – tanto per citarne uno recente – ai danni di una diciannovenne da parte di sette ragazzi, alcuni dei quali minorenni, avvenuto a Palermo lo scorso 7 luglio. Nel cellulare di uno dei presunti autori è stato ritrovato il video della violenza che, come si sa, ha fatto il giro del web.
Lo scandalo, la riprovazione e l’allarme che ne sono seguiti hanno portato tutti noi a porci delle domande, costringendoci a riflettere su cosa stia accadendo. Perché, purtroppo, quelli avvenuti a Palermo non sono fatti isolati. Quotidianamente sui media passano notizie di ragazze e donne abusate in gruppo durante momenti che dovrebbero essere di spensieratezza e divertimento. Sembra delinearsi come un’emergenza che finora abbiamo ignorato e riguarda in modo trasversale molti ragazzi, italiani e non, che vivono sul nostro territorio e che si verificano ovunque nel nostro Paese.
Partiamo da un punto. Alla base di tutte queste violenze vi è sempre lo scatenarsi di un comportamento filogeneticamente primitivo di dominio e predazione del maschio sulla femmina, dove sesso e aggressione sono connessi. Questa disposizione viene a noi dai primordi della nostra evoluzione ed è radicata come possibilità, non certo come determinazione ad agire, nella parte più antica del cervello maschile. La connessione tra sesso e violenza è quindi una possibilità per ogni maschio umano, che viene favorita ed esaltata dal gruppo.
Sulla base di quanto appena detto, entra in gioco anzitutto un meccanismo di contagio emotivo, tipico del gruppo e anche della folla anonima; esso porta i componenti a vivere in modo automatico e riflesso la stessa attivazione emotiva, che è in questo caso di aggressione e sesso. Basta che uno del gruppo inizi una violenza, e gli altri si comportano mimeticamente allo stesso modo, in un crescendo sfrenato di brutalità privo di consapevolezza. Alcuni individui, per età e caratteristiche personali, sono maggiormente incapaci di opporsi al contagio emotivo: sono quelli poco autonomi dal gruppo, e anzi molto conformisti e dipendenti da esso, quelli poco abituati alla riflessione personale su di sé (cioè a chiedersi: “Che cosa sto facendo? Perché?”) e a scegliere in modo autonomo. Molti non sono nemmeno in grado di riconoscere le emozioni che stanno provando: le agiscono soltanto. In questa condizione la vittima e la sua sofferenza non vengono neppure viste e tantomeno colte; diventa quindi impossibile ogni condivisione empatica, che porterebbe a bloccare l’aggressione.
Per questi motivi il ruolo degli adulti, come educatori, è essenziale. Le cronache ben evidenziano la difesa amorale dei propri figli, attraverso il noto meccanismo di colpevolizzazione della vittima; è uno dei numerosi meccanismi di “disimpegno morale” che permettono di non mettere in discussione un comportamento e anzi di giustificarlo. Il ruolo dei padri e delle madri è decisivo, perché è in famiglia che il bambino impara fin da piccolissimo il rispetto, o al contrario il disprezzo, per le donne nella quotidianità della vita di tutti i giorni. Nella società italiana, dove le madri sono molto presenti, le donne svolgono un ruolo determinante nel favorire indirettamente, con il loro comportamento e i loro giudizi, la prevaricazione maschile, dalle forme più lievi a quelle più gravi. C’è un grande responsabilità in questo senso delle donne come madri. Non si tratta solo di saper porre dei limiti al proprio comportamento impulsivo, ma di essere in grado di vivere con l’altro sesso una relazione veramente umana, fatta di sentimenti e di relazioni individualizzate, ben lontana dalla sopraffazione.
Vi è un drammatico abbandono educativo sui temi della sessualità e degli affetti da parte sia della famiglia, sia della scuola. Occorre anzitutto riconoscere, superando le molte resistenze al riguardo, che esistono nei maschi disposizioni primitive alla prevaricazione che non vanno né legittimate né favorite dalla cultura. A questo riguardo, è necessario essere consapevoli del ruolo pervasivo e distruttivo assunto oggi dalla pornografia per gli adolescenti, in particolare per i maschi. La sessualità proposta dalla pornografia, anche quando non è manifestamente violenta, riduce la donna a oggetto del piacere maschile e favorisce di conseguenza i comportamenti aggressivi di sopraffazione.
A partire dalla presa d’atto che la violenza maschile sulle donne è il frutto dell’interazione tra disposizioni biologiche e messaggi culturali che le sostengono, occorre favorire la capacità di coniugare sesso e affetti in una relazione personale basata sulla comune umanità. La famiglia e la scuola dovrebbero impegnarsi nell’educazione sessuale affettiva, che non può essere svolta solo dalla famiglia, soprattutto in adolescenza.