Parliamo di VAWG. La violenza virtuale come forma di violenza di genere

In particolare Revenge Porn Pornografia non consensuale– Non Consensual Pornography (NCP).

Interessante approfondimento a cura della presidentessa Avv.ta Tiziana Cecere

La rapida e ampissima dif­fusione dell’uso dei social media, unitamente all’attuale tzunami di violenza nei confronti delle donne e delle ragazze ha fatto proliferare “la VAWG”: la violenza virtuale contro le donne e le ragazze che ha assunto a livello globale dimensioni mastodontiche producendo ripercussioni sia nei confronti delle vittime che nel substrato economico e sociale.

E’ stato rilevato, su scala mondiale, che una donna su dieci abbia già subito una forma di violenza virtuale, sin dall’età di 15 anni, nello spazio pubblico digitale che senza un utilizzo consapevole può divenire  “un luogo pericoloso” .

L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE) ha condotto una ricerca documentale tesa ad individuare e ad analizzare gli studi esistenti sulle diverse forme di VAWG virtuale nonché a valutare la disponibilità di dati derivanti da indagini sul fenomeno.

Purtroppo, si tarda ancora a concettualizzare e a disciplinare in modo efficace e uniforme nell’Unione Europea (UE) la violenza virtuale contro le donne e le ragazze tanto che anche la ricerca condotta a livello nazionale negli Stati membri dell’UE è limitata. I dati della VAWG nell’UE sono scarsi e, di conseguenza, si sa molto poco sulla reale percentuale di vittime di violenza virtuale contro le donne e le ragazze e sulla portata dei danni poichè nella maggior parte degli Stati membri le forme di VAWG virtuale non sono considerate reato. I dati della polizia e della giustizia penale sul fenomeno sono irrisori e pur se negli Stati membri in cui le forme di VAWG virtuale costituiscono un reato, i dati raccolti mancano di organizzazione per sesso della vittima e autore del reato e del rapporto fra loro.

E’ interessante riportare i dati di un’indagine che ha coinvolto più di 9 000 utenti di Internet, di nazionalità tedesca, di età compresa tra 10 e 50 anni, da cui e’ emerso che le donne erano notevolmente più suscettibili e pativano situazioni piu’ traumatiche rispetto agli uomini nell’ essere vittime di molestie sessuali online e di comportamenti persecutori perpetrati attraverso mezzi informatici (cyber­stalking).

Questo risultato è corroborato da un’indagine del 2014 condotta dal Pew Research Center negli Stati Uniti (le donne -in particolare le giovani della fascia di età di 18-24 anni) subiscono in misura sproporzionata diversi tipi di molestie virtuali, in particolare cyberstalking e molestie sessuali online.

Gli esperti del team di Fermiconlemani, da diversi anni, con numerosi eventi informativi e formativi nelle scuole, e in diretta sulla pagina Facebook, e su spreaker podcast studio, mettono in guardia i giovani sui rischi di con­cettualizzazione della VAWG virtuale come fenomeno com­pletamente separato dalla violenza «del mondo reale», perche’ in realtà rappresenta più propriamente un continuum rispetto alla violenza off line.

Ad esempio, il cyberstalking perpetrato da un partner o un ex partner segue gli stessi modelli dello stalking off line ed è quindi una violenza perpetrata da un offender, facilitata dalla tecnologia, quale preludio spesso ad azioni criminali violente di persona.

Tale “continuita’ “ e’ stata confermata da uno studio britannico sul cyberstalking da cui e’ emerso che oltre la metà (54 %) dei casi di violenza on line era correlata a un primo incontro in una situazione reale.

Inoltre, i dati dell’indagine della FRA del 2014 mostrano che il 77 % delle donne che hanno subito molestie online hanno subito almeno una forma di violenza sessuale e/o fisica da un partner intimo, e 7 donne su 10 (70 %) che hanno subito cyberstalking  sono anche state vittima di almeno una forma di violenza fisica e/o sessuale perpetrata da un offender conosciuto o ex partner.

Le forme di violenza virtuale contro le donne e le ragazze sono numerose ed e’ importante parlarne per conoscerle e poter mettere in atto tutte le azioni necessarie per prevenirle e per tutelare i propri diritti nel caso si assuma spiacevolmente la veste di vittime.

Il cyberstalking, pornografia non consensuale (o «pornografia della vendetta» o “revenge porn”), offese e molestie basate sul genere, stigmatizzazione a sfondo sessuale, pornografia indesiderata, estorsione sessuale, stupro e minacce di morte, ricerca e pubblicazione online di informazioni personali e private (doxing), e traffico di esseri umani perpetrato per via elettronica.

Non devono essere sottovalutate le varie forme di manifestazione e conseguenze della violenza nel cyberspazio, rispetto a quella off line, fra cui violenza sessuale, psicologica e violenza eco­nomica, in cui l’attuale o futura occupazione lavorativa della vittima è compromessa da informazioni pubblicate online.

Ci soffermiamo su una forma di violenza che finalmente in Italia dal 2019 e’ stata tipizzata in un reato: Revenge Porn Pornografia non consensuale – Non Consensual Pornography (NCP).

Tale forma di  VAWG e’ conosciuta con il termine di revenge porn o sfruttamento online o «por­nografia della vendetta», la pornografia non consensuale comporta la distribuzione online di fotografie o di video di sesso senza il consenso della persona ripresa.

La dinamica del revenge porn e’ piu’ diffuso di quanto possiamo immaginare.

Nel 2017, un’analisi del C.C.R.I. (Cyber Civil Rights Initiative) ha documentato che tra gli utenti di social media statunitensi uno su otto è stato vittima di revenge porn, prendendo in esame 3.044 individui.

L’8% è risultato vittima della pubblicazione non consensuale di materiali pornografici, denominata in breve “NCP”. E circa il 5,2% dei partecipanti ha ammesso di aver perpetrato la NCP. Inoltre, dallo studio è emerso che le donne hanno 1,7 volte più probabilità di essere vittime di NCP rispetto agli uomini.

Nel 2016, uno studio del “Data & Society Research Institute” ha rilevato che circa 10 milioni di americani sono stati vittime di NCP o sono stati minacciati di tale reato.

L’esecutore è spesso un ex partner che ottiene le immagini o i video nel corso di una precedente relazione, e mira a infamare e umiliare pubblicamente la vittima quale vendetta e ritorsione per la fine della relazione.

Comunque sia, gli offenders possono anche non essere partner o ex partner ma la motivazione alla base dei comportamenti criminali di questo reato e’ sempre la vendetta.

In alcuni casi, la persona offesa (uomo o donna) è vittima di violenza sessuale, spesso facilitata dalla droga da stupro che provoca, tra l’altro, ridotto senso del dolore, coinvolgimento nel disvoluto atto sessuale, effetti dissociativi e amnesia. Queste azioni criminali, ci duole riferirlo, sono diffuse anche tra i minori come la diffusa pratica del sexting, ovvero dell’invio di immagini intime come pratica di coppia: sovente tali immagini vengono diffuse a soggetti esterni alla coppia (il c.d. sexting secondario) andando a determinare situazioni dannose alle vittime analoghe a quelle prodotte dal revenge porn.

Le immagini possono essere ottenute anche memorizzando e utilizzando le foto dai profili dei social media o dal cellulare della vittima, e possono mirare a infliggere un danno nella vita «del mondo reale» delle persone offese (ad esempio facendoli licenziare dal lavoro).

Negli ultimi anni sono stati pubblicizzati diversi casi di donne vittime di vendetta pornografica non solo negli Stati membri dell’UE e negli Stati Uniti d’America, ma anche in Italia, le cui conseguenze sono state il suicidio delle vittime.

Infatti, solo in seguito al suicidio di Tiziana Cantone, nel nostro Paese, fu presentato un disegno di legge che mirava a introdurre l’art. 612-ter nel codice penale , “concernente il reato di diffusione di immagini e video sessualmente espliciti”.

Assistiamo ad un aumento di siti Internet dedicati alla condivisione della pornografia della vendetta, tramite cui gli utenti possono pubblicare immagini e informazioni personali quali indirizzo, datore di lavoro e collegamenti ai profili online della vittima.

L’utilizzo incontrollato dei social media ha prodotto anche un’orribile tendenza, quella della trasmissione dal vivo di atti di aggressione sessuale e stupro attraverso i social media tanto e’ vero che, nel 2017, purtroppo vi sono già stati due casi di grande risonanza pubblica, uno in Svezia e l’altro negli Stati Uniti d’America, di vittime il cui stupro è stato trasmesso in diretta online usando la funzione di Facebook.

Emerge la necessita’ di campagne di sensibilizzazione assidue e coinvolgenti per rendere le donne e le ragazze sempre piu’ consapevoli dei rischi del cyberspazio, informandole sui loro diritti e su tutti i servizi disponibili per contrastare o superare un coinvolgimento in VAWG.

In pochissimi paesi nel mondo quali Italia, Australia, Canada, Filippine, Giappone, Israele, Malta, Regno Uniti e alcuni stati degli U.S.A. esiste attualmente una legislazione specifica.

In Italia sono stati fatti dei grandi passi introducendo la fattispecie del revenge porn, l’articolo 612 ter del codice penale rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” con l’entrata in vigore del “codice rosso” il 9.8.2019, ma certamente c’e’ molta strada da percorrere in merito alla prevenzione tra le più giovani.A livello europeo sarebbe determinante migliorare i dati disaggregati sulla diffusione e sui danni della violenza virtuale contro le donne e le ragazze, per poter sviluppare indicatori e per misurare l’efficacia degli interventi cosi’ da mettere in atto azioni condivise negli Stati Membri contro le numerose forme di criminalità virtuale basate sul genere in particolare l’adescamento o «reclutamento» online di donne e ragazze in situazioni dannose come il traffico di esseri umani.

“Il modo più sicuro per evitare che foto intime siano diffuse online è non scattarle”

IL REVENGE PORN E’ UN REATO

Avv. Tiziana Cecere

Criminologa

Coach e Conselour Bioetica

Master in PNL Bioetica

Esperta in Crimini Violenti, Violenza on line e off line, Dinamiche Settarie, Satanismo

Ideatrice del Metodo “Rinascere Danzando” e del Progetto “Cassetta Help”

Consulente di parte per:

supporto in indagini difensive, ricostruzione criminodinamica degli eventi, preparazione interrogatori,

analisi della testimonianza, ricostruzione del fatto criminoso.

Presidente dell’A.P.S.-E.T.S. Fermiconlemani

Violenze su anziani in una RSA di Manfredonia: l’essere umano è davvero capace di tali nefandezze?

Ce ne parla il Dott. Marco Magliozzi

Psicologo-psicoterapeuta, esperto in criminologia, PNL e EMDR

Socio fondatore di “Fermiconlemani”

Qualche giorno fa, in una RSA di Manfredonia in provincia di Foggia, quattro operatori socio-sanitari sono stati arrestati dalla Polizia con l’accusa di aver agito violenze fisiche e sessuali ai danni di alcuni anziani ospiti della struttura.

Ogniqualvolta leggiamo tali notizie, che vedono coinvolte persone innocenti e indifese, il nostro animo sobbalza e ci chiediamo come possano accadere tali tragedie.

Uno degli obiettivi dell’Associazione “Fermiconlemani” è quello di sensibilizzare i cittadini tutti sul tema della violenza, in ogni sua forma.

Questo articolo, nello specifico, non si pone come scopo quello di condannare o moralizzare sugli eventi accaduti (altri esperti si occuperanno, nel rispetto dei loro ruoli, di ottemperare a ciò), ma di fare un’analisi, il più possibile professionale e oggettiva, di tali dinamiche, così da offrire al lettore una visione dei fatti scientifica e scevra da condizionamenti.

Partiamo da una “semplice domanda”: l’essere umano è una creatura violenta per natura?

Antropologia, medicina, filosofia, psicologia, genetica, le scienze tutte, da secoli si domandano se l’essere umano possa racchiudere in sé istinti di violenza e aggressività.

Ahimè, la risposta è ormai certa: appartenendo alla classe animalia dei mammiferi prima che al genere homo sapiens, l’essere umano è capace, per sua natura, di agire violenza, di essere aggressivo, anche contro i propri simili e anche senza un “apparente” motivo. Considerando i numerosissimi casi di cronaca nera accaduti negli anni, non c’è più da meravigliarsi quando leggiamo o ascoltiamo notizie di tal genere.

Il meccanismo della sublimazione

L’essere umano, come detto, ha il naturale bisogno di esternare i propri istinti violenti e aggressivi. Grazie alla sua evoluzione, ha però imparato a gestirli e manifestarli in una maniera socialmente accettata, innocua e condivisa. Tale dinamica prende appunto il nome di sublimazione.

Alcuni esempi possono essere: l’attività sportiva, l’arte, l’impegno sociale o politico, la motivazione professionale e così via.

Talvolta, purtroppo, a causa delle eccessive frustrazioni e di alcune fragilità dell’Io, tali impulsi prendono il sopravvento e la persona non riesce a indirizzarli verso un qualcosa di opportuno.

Ecco che, ahimè, si manifestano violenze verso altre persone, molte volte del tutto innocenti e inconsapevoli di quello che sta accadendo.

La violenza è, molto spesso, conseguenza di un’infelicità interiore

Una persona equilibrata, mentalmente sana e appagata, gode del pieno funzionamento delle sue facoltà cognitive e dei propri meccanismi inconsci di difesa. È in grado, dunque, di gestire al meglio gli istinti primordiali (di cui sopra) e agire a favore del proprio bene e del bene comune.

La violenza agita (verbalmente o psicologicamente) è spesso conseguenza di un malessere interiore e di crepe strutturali nell’Io. Tali fragilità sono frutto di traumi, dell’educazione ricevuta, della cultura di appartenenza e del modo in cui l’individuo ha strutturato le proprie reazioni di difesa.

Violenze contro anziani: l’arma più grande è la prevenzione

Qualsiasi spiegazione psicologica non servirà mai per giustificare tali comportamenti violenti, nei confronti di persone innocenti e indifese. È giusto che gli autori di questi reati vengano sottoposti a processo e, se colpevoli, condannati secondo le leggi vigenti.

È giusto però permettere ai lettori di comprendere cosa spinga, inconsciamente, alcune persone a compiere tali atti deprecabili.

Gli operatori socio-sanitari, che si sono macchiati di queste violenze, molto probabilmente non godevano di una lucidità mentale, di un equilibrio sano tra conscio e istinti inconsci, di un sereno appagamento psico-emotivo (e sessuale), qualità indispensabili per poter essere a contatto con persone bisognose di cure e attenzione, come un anziano.

Il nostro monito, come Associazione, è quello di prevenire ogni genere di violenza e richiamare all’attenzione dei più questi accadimenti, con lo scopo di sensibilizzare e far sì che, per il futuro, ciò non debba più verificarsi.

Come? Assicurandosi della qualità, della formazione e dell’equilibrio psico-emotivo degli operatori socio-sanitari.

Bisogna dunque evitare, il più possibile, che questi operatori finiscano sotto stress, in burn-out o che vengano assegnati ruoli che richiedono empatia, amore per il prossimo e dedizione a persone non in grado di ottemperare tali qualità e magari a rischio crollo emotivo.

È necessario che gli operatori vengano valutati non solo da un punto di vista curriculare ma anche psicologico, che seguano degli specifici corsi di formazione e che vengano supportati psicologicamente da esperti esterni, così da monitorare costantemente il loro benessere.

Solo con la prevenzione è possibile far diminuire i casi di violenza.

QUANTI LIKE VALIAMO?

L’autostima ai tempi dei social network

28 febbraio 2022

ore 18.00

OPEN DAY ONLINE GRATUITO, IN DIRETTA SULLA PAGINA FACEBOOK DI «FERMICONLEMANI»

Interverranno

  • Avv. Tiziana Cecere,  coach PNL, criminologa, presidente di «Fermiconlemani»
  • Dott. Marco Magliozzi, psicologo-psicoterapeuta, socio fondatore «Fermiconlemani»
  • Prof. Michele Colasuonno, dottore in psicologia, coach PNL, docente di religione,  Socio di Fermiconlemani

Ci confronteremo sul bisogno di piacere (o di ricevere piu’ like possibili)

Vi siete chiesti perché abbiamo cosi’ tanto bisogno di approvazione, di visibilita’ e di piacere agli altri?

In tanti e sempre piu’ numericamente abbiamo bisogno di un pubblico che ci riconosca, che ci confermi in modo continuativo che siamo bravi e belli.

Durante il nostro incontro affronteremo il discrimine tra il semplice voler piacere in modo sano e la necessita’ e il bisogno di essere visti e approvati dagli altri per riconoscerci un valore e per dare senso alla nostra esistenza.

Parleremo anche della scala di valori che ci viene trasmessa fin da piccoli, coma la recepiamo e come l’applichiamo nella nostra vita e quanta importanza diamo ai followers, agli amici virtuali e ai loro “mi piace”.

L’argomento “autostima” assumera’ un ruolo determinante nel nostro webinar e chiederemo al pubblico di contattarci in diretta per sapere se una critica sui social di un perfetto estraneo puo’ metterli in crisi.

Se cerchiamo conferme dal mondo esterno probabilmente non riusciamo a trovarle dentro di noi.

“CHILD MOLESTER “Scopriamo insieme chi sia e quali siano le conseguenze traumatiche dopo un abuso sessuale su un minore.

Il “child molester”, dall’inglese “colui che abusa di bambini”, è un individuo che agisce abuso sessuale nei confronti di soggetti minori.

In questa categoria rientra quindi: il coinvolgimento dei bambini in attività sessuali – anche semplicemente chiedendole o facendo pressioni di questo genere –, l’esposizione indecente dei genitali, lo sfruttamento sessuale dei minori e l’utilizzo del bambino per produrre materiale pornografico.

Secondo la letteratura, gli abusi sui minori possono verificarsi in diversi contesti, nello specifico quelli in cui la presenza dei bambini è abitudine, ad esempio le scuole o le abitazioni private.

Molti, e gravi, sono gli effetti psicologici nella mente delle vittime, che possono includere depressione, disturbo post-traumatico da stress, ansia, bassa autostima, autolesionismo, propensione alla vittimizzazione in età adulta o alle dipendenze (es. alcolismo o uso di droghe), senza considerare anche le lesioni di natura fisica. Uno studio finanziato dal National Institute of Drug Abuse degli Stati Uniti, ha rilevato che “tra più di 1.400 donne adulte, l’abuso sessuale infantile era associato a una maggiore probabilità di tossicodipendenza, dipendenza da alcol e disturbi psichiatrici”. Molti bambini possono mostrare anche comportamenti regressivi, ad esempio succhiare il pollice o fare pipì a letto. Se consideriamo le forme d’incesto, quindi se l’abusante è un membro della stessa famiglia, i traumi psicologici possono considerarsi ancora più gravi e a lungo termine.

Infatti, secondo le ricerche, il 30% dei child molester sono parenti delle vittime, il più delle volte fratelli, padri, zii o cugini. Circa il 60% sono conoscenti (es. babysitter o vicini di casa) e solo il 10% sono estranei. Sempre analizzando gli studi, la maggior parte degli abusi sessuali sui minori è commessa da uomini, mentre una piccola parte (14%) da donne.

Inoltre, menzione d’obbligo va fatta sui matrimoni precoci: secondo l’UNICEF, il matrimonio precoce rappresenterebbe infatti “la forma più diffusa di abuso sessuale e sfruttamento delle ragazze“.

Nel parlato comune, il termine “pedofilo” viene comunemente associato a questo tipo di abusi ma in maniera errata. I crimini sessuali su minori non rientrano infatti nella pedofilia, a meno che il reo non abbia uno specifico e parafilico interesse sessuale per i bambini in età prepuberale.

Holmes&Holmes (2002) suddividono così gli autori di reato:

  • Situazionale: non preferisce i bambini, ma agisce l’abuso solo a determinate condizioni;
  • Regressivo: in genere ha relazioni con gli adulti, ma un fattore di stress lo induce a cercare i bambini come sostituti;
  • Moralmente indiscriminato: deviante sessuale a tutto tondo, che può commettere altri reati sessuali estranei ai bambini;
  • Ingenuo/inadeguato: spesso caratterizzato da patologie mentali che gli provocano disabilità, percepisce i bambini meno minacciosi e quindi più adatti a esperienze sessuali;
  • Preferenziale: ha un vero interesse sessuale nei bambini:
  • Sadico: reo violento;
  • Fissato: ha poca o nessuna attività sessuale con individui della propria età, descritto come un “bambino troppo cresciuto“.

Da un punto di vista psicoterapeutico, è assolutamente necessario agire immediatamente sulle vittime, subito dopo l’abuso subito.

Il bambino/bambina ha subitaneamente bisogno di essere preso in carico, iniziando un trattamento terapeutico per rielaborare il trauma. Il rischio maggiore, infatti, è che i sintomi psicologici possano acuirsi e durare nel tempo soprattutto se, nella peggiore delle situazioni, le persone con le quali si confida (es. un parente) negano il problema o incolpano addirittura il bambino dell’accaduto.

La prevenzione, inoltre, ricopre un ruolo fondamentale: attività nelle scuole, nei centri d’ascolto, nelle famiglie, sono fondamentali per diffondere informazione e formazione, in primis ai genitori, ma anche agli insegnanti e agli addetti ai lavori (psicologi, medici, personale sanitario, membri delle forze dell’ordine).

È ormai caduta l’antica convinzione che ai bambini non si possa parlare di sesso: è invece necessario, utilizzando i giusti modi e le giuste modalità comunicative, diffondere una sana informazione, così da aiutarli anche a distinguere i pericoli nel loro ambiente, familiare o scolastico, e approcciarsi, nel futuro, alla loro vita sessuale nel migliore dei modi.

Ai genitori, invece, è assolutamente rivolto il prezioso messaggio di avere il coraggio di denunciare, anche i parenti o gli amici più stretti, senza negare o sminuire il problema. Il benessere del proprio figlio è sicuramente più importante del “giudizio esterno” o di qualsiasi altro limite autoimposto dalla famiglia.

Dr. Marco Magliozzi, psicologo, psicoterapeuta, criminologo,

Fondatore e Responsabile Area Psicologica di Fermiconlemani

IL FURTO D’IDENTITÀ DIGITALE DAI FAKE AL PHISHING

Il furto d’identità digitale è assimilabile al reato di sostituzione di persona previsto dal Codice Penale nel libro II Titolo VII all’art.494; attraverso questa fattispecie prevista dal legislatore del 1930 infatti, oggi è possibile includere anche le falsificazioni avvenute online.

Le modalità di questo reato sono molteplici, partendo da utenti che si fingono qualcun altro sul web per vantaggio personale, i cosiddetti fake, fino a veri e propri sistemi che alterano l’utilizzo di servizi online per vantaggio patrimoniale.

La norma, essendo stata riadattata al furto d’identità digitale e non essendo stata creata ad hoc, risulta generica e dunque fortemente influenzata dall’interpretazione della Magistratura.

Attualmente questa fattispecie prevede due falsificazioni alternative ovvero la sostituzione completa di persona, oppure l’attribuzione di un nickname, uno status o delle qualità personali false; risulta infatti punibile anche chi attraverso una falsa qualifica professionale organizza colloqui di lavoro per scopi personali.

Per comprendere in maniera completa questo reato appare essenziale fare delle comparazioni con il sistema e la dottrina statunitense, patria delle piattaforme digitali e di ciò che ne è correlato. In America, infatti, il furto d’identità digitale si divide in tre categorie, non associate a scopo di profitto economico: il catfishing, falsa identità contro una pluralità di utenti e il digital knidapping.

Il primo, da cui prende il nome anche il famoso programma tv di MTV, rimanda ad un vero e proprio “fake” dunque, alla condotta di chi “attira qualcuno in una relazione creando un personaggio online immaginario” (Oxford dictionary). Il catfish, attraverso l’inganno sui social network, raggira altri utenti intrattenendo relazioni virtuali senza mai svelare la propria vera identità, fisica e personologica.

La seconda categoria non sviluppa una relazione con un solo utente, ma interagisce con una molteplicità di utenti, in modo diretto o indiretto, anche attraverso degli intermediari a volte inconsapevoli della situazione creatasi.

Infine, con digital knidapping ci riferiamo a un utente che attraverso giochi di ruolo, quindi nascondendo la propria identità e non falsificandola, controlla altri individui non solo all’interno del gioco stesso.

Tornando alla legislazione italiana, identifichiamo questo reato come plurioffensivo, e procedibile d’ufficio, poiché esso lede la fede pubblica e una pluralità di utenti indeterminati: gli individui a causa di questi criminali, non riescono a fidarsi degli altri e non vivono serenamente i rapporti stretti online.

Analizzando gli elementi soggettivi del reato di furto d’identità digitale, notiamo come anche il tentativo è configurabile poiché la vittima potrebbe essere ingannata anche se il delitto non viene consumato, pur venendo in contatto con un profilo fake o altresì attraverso una mail sospetta di phishing.  

Inoltre, è riconosciuto il dolo specifico: l’autore, con coscienza e volontà, deve porre in essere l’atto al fine di arrecare un danno procurandosi un vantaggio patrimoniale o non patrimoniale.

In alcuni casi invece, potrebbe configurarsi un reato impossibile quando manca l’elemento offensivo: un utente potrebbe utilizzare dei dati diversi dai propri per la registrazione ad un sito o sostituire la propria identità con una inesistente; la giurisprudenza però a volte cerca di configurare anche questi come reati per la teoria della generalprevenzione.

Il furto d’identità digitale si ricollega ad altre due tipologie di illeciti sul web: il phishing e il cyberlaudering.

A livello normativo, il phishing non è categorizzato precisamente, ma viene interpretato considerando il reato-mezzo, la sostituzione di persona, e il reato-fine ovvero la frode informatica.

Attraverso la “mail esca”, inviata apparentemente da siti istituzionali al fine di aggiornare dati personali con il collegamento a un link, il cybercriminale ingannerà l’utente riportandolo su un’altra piattaforma creata ad hoc: ed è proprio così che si sviluppa l’identity theft succeduto dall’ identity abuse.

Spesso, a stretto contatto con il phisher potrebbe esserci il financial manager, ovvero colui che utilizza i proventi dei dati sottratti per il riciclaggio di denaro, ovvero il cyberlaudering. 

Analizzando questo reato dal punto di vista criminologico, invece, risulta importante dare attenzione alle tracce digitali che vengono lasciate sui sistemi di vittima e offender, importanti per la digital evidence e il profiling.

Gli elementi di prova devono essere suddivisi in tre fasi: l’identificazione dell’autore, attraverso lo studio dell’attacco e dell’obiettivo; l’analisi dei dati, attraverso la valutazione di motivazioni e skills, e infine il profiling vero e proprio.

Per identificare l’autore del reato si parte dunque dalla tipologia di attacco effettuato e dalla motivazione che lo ha spinto a scegliere un determinato sistema e determinate vittime.

È importante risalire all’utilizzo che il criminale ha fatto dei dati rubati ed alla complessità dell’attacco, i quali ci forniscono informazioni sulle competenze tecniche applicate ai cybercrimes. In base al metodo di aggressione, infatti, è possibile definire anche il livello di conoscenza dei linguaggi di programmazione, indagando l’utilizzo di codici già usati o innovativi.

Attraverso queste informazioni base, è possibile dunque, svelare i tratti caratteristici personologici e il progetto criminoso dell’offender.

Il profilo della vittima, invece, è molto più complesso da delineare: l’attacco potrebbe essere indirizzato verso utenti scelti o casuali oppure verso server ed enti istituzionali. Nel caso di singoli utenti scelti, essi potrebbero conoscere il criminale oppure potrebbero possedere simili caratteristiche attrattive. Altre vittime, invece, potrebbero essere selezionate casualmente da piattaforme istituzionali attraverso l’attacco a server di home banking, gestori telefonici e servizi di pubblica utilità.

La vulnerabilità rimane l’elemento comune di tutte le vittime, che essa sia dovuta alla disinformazione o alla mancanza di misure di sicurezza e così la prevenzione attualmente rimane l’arma più potente contro i cybercriminali.

Dunque, cosa fare concretamente per evitare d’incorrere in rischi come questo?

Il primo consiglio che sento di dare a tutti gli utilizzatori del web è di leggere attentamente prima di accettare qualsiasi tipo di autorizzazione e soprattutto di analizzare l’interlocutore che si incontra dall’altra parte dello schermo.

Se si nutre qualche dubbio rispetto alla mail ricevuta o alla richiesta di amicizia sospetta e non si riesce a capire la vera identità dell’utente, è sempre meglio farsi consigliare da un nostro caro o conoscente che è più preparato nell’utilizzo di pc e web.

Ognuno di noi dovrebbe supportare soprattutto anziani e bambini, che spesso per disinformazione, sono i più esposti a questi fenomeni.

Ricordiamoci: alcune volte, fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.

Claudia Colonna, assistente sociale, criminologa, socia di Fermi con le Mani