Edipo non è Caino

Riflessioni sui possibili scenari di incostituzionalità del Codice Rosso del nostro socio Pierfrancesco Impedovo, processual-penalista e criminologo.

La particolare vicenda processuale di Alex Pompa, il 22enne che il 30 aprile 2020 a Collegno (Torino) uccise a coltellate il padre nel corso dell’ennesima lite di quest’ultimo con la madre, potrebbe innescare un cambiamento nel trattamento sanzionatorio previsto dal “codice rosso” in alcune circostanze specifiche; vediamo quali.

In primo grado Alex era stato assolto perché «il fatto non costituisce reato», agì per legittima difesa. Secondo i giudici aveva dovuto scegliere «se vivere o morire».

In appello il pg Alessandro Aghemo ha ribadito la richiesta che già la pubblica accusa aveva formulato in primo grado: condanna a 14 anni di reclusione, sottolineando che si tratta del minimo possibile. 

Dopo una lunga camera di consiglio, la Corte d’Appello ha di fatto ribaltato il verdetto di primo grado, emanato un’ordinanza (e non una sentenza), dalla quale si ricava il convincimento che non si sia trattato di legittima difesa e nemmeno di eccesso colposo, ma che in ordine alla quantificazione della pena apre una “breccia” nel Codice Rosso di portata potenzialmente ampia.

La Corte, «visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 e seguenti della legge 87 del 1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3 e 27 comma 1 e 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 577 comma 3 del codice penale nella parte in cui impedisce il giudizio di prevalenza ai sensi dell’articolo 69 codice penale delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante della provocazione rispetto alla circostanza aggravante prevista per il delitto di omicidio volontario in relazione al fatto commesso contro l’ascendente dall’articolo 577 comma 1 numero 1 del codice penale. Sospende il giudizio fino all’esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale. L’udienza è tolta».

I giudici della Corte hanno dunque sollevato una questione di legittimità della norma, introdotta dal cosiddetto ”Codice Rosso”, che in questi casi (omicidio aggravato dal vincolo di parentela) vieta di poter dichiarare la prevalenza di alcune attenuanti e quindi di poter applicare uno sconto di pena. 

È stata la difesa a chiedere che venisse sollevata la questione. Ovviamente la richiesta era in subordine rispetto a quella di conferma della sentenza di assoluzione di primo grado.

Tecnicamente, la riforma del 2019, il Codice Rosso, non solo ha inasprito le pene per gli autori di reati commessi in contesti familiari, ma ha altresì inserito nel codice penale una norma che impedisce di considerare prevalenti talune attenuanti sull’aggravante del vincolo di parentela, per evitare l’applicazione di pene poco severe nei casi di violenza endofamiliare. 

La Corte ha dunque escluso la legittima difesa, manifestando l’intenzione di voler riformare così la decisione del primo grado e accogliendo la tesi dell’accusa; tuttavia ha riconosciuto che Alex, a causa del gravissimo contesto familiare in cui ha vissuto per anni con un padre violento, meritasse le attenuanti generiche e quella della provocazione.

Ogni attenuante dovrebbe fornire la possibilità di ridurre la pena di un terzo. Però in questo caso, in virtù della riforma del 2019, esse possono essere riconosciute solo come equivalenti, e non come prevalenti, alle aggravanti. 

Questa situazione, ad avviso della difesa, genera una disparità di trattamento perché Alex verrebbe condannato alla stessa pena di uno che non merita le attenuanti. La Corte ha dunque accolto questa lettura della norma e ha investito la Consulta della questione.

Anche il pubblico ministero si è detto favorevole a sollevare il dubbio. Comunque aveva chiesto 14 anni, la pena minima possibile per un omicidio volontario, considerata altresì la semi infermità mentale del ragazzo accertata da una perizia psichiatrica. 

La Corte, in sintesi, ha sospeso la Camera di Consiglio, escludendo la legittima difesa, quindi ritenendo di dover condannare Alex. Però, ai fini della quantificazione della pena, ha rimesso gli atti ai giudici costituzionali.

I possibili due scenari: qualora la Consulta ritenesse incostituzionale quella parte della norma, per Alex le attenuanti sarebbero riconosciute prevalenti sulle aggravanti e quindi potrebbe essere condannato a 7 o 8 anni di reclusione. 

Se invece rigettasse la questione di incostituzionalità verrebbe condannato a 14 anni di carcere. 

Quanto fin qui esposto, lungi dal voler essere una disanima sulla vicenda umana e processuale di Alex (su cui non è nostra intenzione esprimere alcun giudizio, né etico, né tantomeno giuridico), rappresenta una doverosa riflessione sulle potenziali modificazioni del Codice Rosso; norma che per un’associazione come Fermiconlemani, da sempre impegnata nella prevenzione e nel contrasto ad ogni forma di violenza, rappresenta (pur con le debite riserve) una risposta efficace sul piano repressivo a molte fattispecie incidenti sui fenomeni di violenza domestica e di genere.

Pierfrancesco Impedovo

“Pro-fessione” d’amore…

Una riflessione etica del nostro socio Prof. Michele Colasuonno, teologo e psicologo.

Dott.ssa Barbara Capovani – Pisa 2023

Dott.ssa Paola Labriola – Bari 2021

Cosa hanno in comune questi due nomi, entrambe uccise sul lavoro, entrambe psichiatre, entrambe uccise da pazienti.

Ripercorrere gli avvenimenti mi sembra una ripetizione, tanti gli articoli anche in rete che li descrivono dei dettagli.

Scrivere delle patologie dei due una ripetizione anche questa, cercare di cosa si tratta per quel che i manuali dicono, sono tanti i siti che li descrivono.

Scrivere di tutto quello che andrebbe cambiato per far funzionare le cose e della tanta burocrazia che non permette di lavorare come si dovrebbe, mi sembra inutile e non questo il posto giusto.

E allora ho pensato di riflettere su tre termini:
Amore (carità);
Rischio;
Passione.

amore, non solo amore per il lavoro, amore per il sapere, o una semplice “philia” generalizzata, ma amore inteso come carità, amore profondo, che muove ogni cellula di chi decide di mettere tutto se stesso al servizio di un certo tipo di persone, quelle che il dott. Andrioli definisce persone di vetro, persone che hanno bisogno di tanto amore, persone che per quanto la burocrazia ce lo imponga, non possono essere semplicemente incasellate in aride classificazioni per i sintomi clinici che manifestano. Persone che ogni volta decidono di sedersi su una poltrona di uno psichiatra o di uno psicologo, portano ogni loro paura, timore, angoscia, valore, idea, pensiero; ogni loro parte la mettono a nudo, e forse per la prima volta si sentono veramente ascoltati fino in fondo, vengono e ci aprono l’anima, ed è per questo che c’è bisogno di tanto amore, amore che supera ogni giudizio, amore che chiunque fa un lavoro del genere deve portare, provare e muovere in ogni istante.

Rischio, si, se è vero che in un lavoro del genere c’è bisogno di tanto amore, bisogna mettere in conto un pizzico di rischio, rischiare in una valutazione, rischio che quella persona di vetro sia troppo fragile e andando in frantumi ti colpisca con una scheggia di vetro. Rischio che metti in conto, rischio che accetti, e che possa oscurare la luce della passione per quello che si fa.

passione per un lavoro che ogni giorno si rivela nuovo e pieno di sfide: passione per le persone, passione per l’inoltrarsi nelle stanze più nascoste dell’anima, stanze che a volte neanche la persona stessa conoscere; passione per portare nel buio di quelle stanze una piccola luce.

Sì, per lavorare con le persone di vetro c’è bisogno di amore, rischio e passione ed anche se ciò che è accaduto non è giusto, non ha senso e non può avere una giustificazione, stare accanto alle”persone di vetro” è quello che tanti professionisti fanno ogni giorno, forse anche per far continuare a vivere nella memoria e nei cuori di tutti noi coloro che non ci sono più per amore della propria missione.

Michele Colasuonno

FERMICONLEMANI ANCORA PARTE CIVILE IN UN PROCESSO PER MALTRATTAMENTI

Oggi, avanti al GUP del Tribunale di Bari, si è celebrata la prima udienza preliminare dell’ennesimo processo a carico di un soggetto maltrattante.

L’uomo è accusato di aver, per oltre due anni, perseguitato due membri della sua famiglia costituitisi parte civile per il tramite dall’Avv. Vincenzo Rubino.

L’associazione Fermiconlemani, patrocinata dal procuratore speciale –l’avvocata e socia Francesca Lombardi-, ha avanzato a sua volta istanza di costituzione di parte civile a supporto delle vittime vessate da reiterate aggressioni fisiche e violenze psicologiche.

<<Grazie alla professionalità, competenza e dedizione di tutta l’equipe legale della mia associazione che ringrazio – tiene a sottolineare la presidentessa di Fermiconlemani l’avv.ta TizianaCecere -, continuiamo a stare al fianco di tutte le vittime di violenza, dando il nostro contributo affinché riconquistino pienamente ciò che è stato loro tolto, moralmente, psicologicamente e legalmente. Questa nuova iniziativa processuale, che arriva dopo numerose altre già ammesse, può considerarsi un ulteriore tassello nell’esperienza della nostra associazione, a costante valorizzazione del lavoro di prevenzione e contrasto ad ogni forma di violenza svolto quotidianamente sul campo, attraverso attività d’informazione, ascolto, assistenza legale, contatto con i servizi territoriali e dunque attraverso la creazione di una rete di concreto sostegno alle vittime. Riconoscere ad associazioni antiviolenza come la nostra la legittimazione a stare in giudizio quale parte danneggiata dai reati contestati al maltrattante, è una conquista di altissimo valore civico al fine di ribadire che la violenza, perpetrata in qualsiasi forma o contesto, ha una ricaduta oltre che nella sfera individuale delle vittime, anche in quella collettiva, in un’ottica di responsabilità dell’intera società>>.

Quando i bambini giocano ad uccidere

L’analisi criminologica del nostro socio fondatore Dott. Marco Magliozzi sull’agghiacciate assassinio di una dodicenne in Germania ad opera di due coetanee

Domenica scorsa, il 12 marzo, i cittadini di Freudenberg (Germania) si sono svegliati accolti da una notizia sconvolgente: è stato ritrovato il corpo senza vita e martoriato di una ragazzina di 12 anni all’interno di un bosco.

Luise – questo è il nome della giovane vittima – sarebbe stata accoltellata numerose volte da due sue coetanee, le quali avrebbero subito confessato il delitto.

In un Paese come quello tedesco, che si sforza di apparire come un popolo il più possibile integerrimo e rispettoso della legge, questo accadimento lascia davvero interdetti.

Lo stesso vicequestore, Juergen Sues, afferma: “Dopo oltre 40 anni di servizio, questo caso mi lascia senza parole”.

Ciò che lascia tutti esterrefatti sono, senza dubbio, sia la giovane età delle ragazzine accusate sia il modus operandi: un over killing sul corpo della vittima, martoriata da innumerevoli pugnalate.

Il movente sembra essere la vendetta, un modo per regolare i conti dopo che Luise avrebbe preso in giro una delle ragazzine incriminate.

Cosa succederà ora alle giovani assassine?

Secondo la giurisdizione tedesca, i crimini compiuti dai cittadini al di sotto dei 14 anni non ricadono sotto responsabilità penale.

Le autorità competenti saranno invece gli uffici di assistenza ai giovani, che molto probabilmente ordineranno misure riabilitative-educative.

Cosa ci insegna questa vicenda?

Come Associazione attenta al benessere individuale e collettivo non possiamo ignorare una vicenda simile, anche se accaduta lontano dal nostro Paese.

Le dinamiche violente, che sempre più si diffondono tra i giovani, sono una problematica molto presente anche nel nostro territorio.

Regolare i conti con un’amica, a causa di una presa in giro subita, ricorrendo all’omicidio è un campanello d’allarme enorme, gigantesco, che ci fa comprendere quanto alcuni giovani adolescenti non posseggano ancora quella sensibilità di percepire il prossimo come un essere umano, ma si arrogano il diritto di poter decidere le sorti della sua vita, arrivando addirittura a strappargliela via.

Le radici di questo folle gesto andrebbero scovate nel contesto familiare, nella società di appartenenza, nell’ambiente scolastico:

nessun ragazzo nasce criminale ma ci diventa, a causa del tipo di educazione (non) ricevuta, magari di una mancata o difficile integrazione nel gruppo dei pari o di traumi/esperienze negative vissute ma mai elaborate.

Impossibile, dunque, non aver mai colto i segnali violenti di queste due ragazzine prima d’ora. Il lapsus, e la criminologia clinica ce lo insegna, non esiste. Dentro le menti di queste due giovani omicide già c’era il seme della violenza. Come è possibile che genitori, amici, famiglia, insegnanti, non se ne siano mai accorti?

L’importanza della prevenzione a scuola

Ecco perché, soprattutto oggigiorno, è più che mai necessario fare prevenzione e sensibilizzazione.

Viviamo in una società che ci propina giornalmente contenuti violenti, attraverso serie-tv, film, social, quasi a voler inviare il messaggio: la violenza è normale.

Non è così!

In adolescenti fragili, la cui identità (Io) ancora non è ben sviluppata, questa dinamica altro non fa che mettere radici e costruire, nel tempo, la pericolosa idea che i problemi possano essere risolti usando le maniere forti, addirittura ricorrendo all’omicidio.

E’ importantissimo, dunque, dar vita ad eventi, incontri, workshop, laboratori, che coinvolgano attivamente i giovani, i loro genitori, gli insegnanti, così da veicolare sani messaggi educativi, basati sul rispetto e l’amore reciproco.

“Fermiconlemani” cerca di far ciò ogni giorno, sperando di offrire anche un piccolo contributo e permettere ai giovani di vivere in un mondo migliore.

Dott. Marco Magliozzi, psicologo, psicoterapeuta, criminologo, Trainer in PNL bioetica

Il nostro progetto registrato “Cassetta Help” attivo anche in Emilia Romagna

Ravenna 10 maggio 2023

È innegabile che la pandemia e i suoi strascichi abbiano determinato una crescita esponenziale della fenomenologia violenta on line e off line.

Sono aumentati i reati di maltrattamento contro familiari o conviventi, gli episodi di violenza fisica, aggressione sessuale, diffamazione a mezzo social, anche tra i giovanissimi, in particolare le dinamiche di cybershaming, cyberbullismo, vessazione psicologia, mobbing coniugale, omicidio, uxoricidio e family murder aventi come target di elezione le donne.

La violenza on line e off line è un problema sociale e il ruolo delle associazioni anti violenza sul territorio è indispensabile per sensibilizzare, dare visibilità e accrescere nella società la consapevolezza che la violenza è un problema pubblico che danneggia il nostro sistema di valori, con particolare riguardo ai giovani, ai gruppi di pari e ai soggetti vulnerabili.

Informare si, ma soprattutto offrire strumenti concreti di prevenzione e aiuto: questa la ricetta!

Su questa scia la nostra associazione da anni vanta un progetto volto all’ascolto e al sostegno delle vittime di qualsiasi forma di violenza o discriminazione: “Cassetta Help”, una cassetta rossa dove chiunque sia vittima o spettatore di dinamiche violente o viva relazioni e situazioni malsane, patologiche e allarmanti altrimenti non facilmente intercettabili a causa della paura e della vergogna, possa lanciare una richiesta di aiuto o fare una segnalazione, anche in forma anonima.

Nella richiesta di aiuto è possibile indicare il proprio recapito per essere contattati da un volontario esperto o si può scegliere di rivolgersi direttamente allo sportello virtuale all’800 822 538 (il numero è in evidenza sulla targa posta accanto ad ogni cassetta), per ricevere supporto o prenotare un appuntamento presso i centri di ascolto posti sul territorio.

Al progetto hanno aderito il comune di Bari, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bari, e ancora i comuni di Casamassima, Putignano, Triggiano, Ruvo di Puglia, Sant’Antonio Abbate (Na) e Scorrano (Le); si aggiunge oggi Cesenatico, ridente località emiliana, grazie alla lungimirante sinergia fra l’amministrazione locale e l’associazione ravennate, partner di Fermiconlemani, Crisalide Odv presieduta dalla signora Antonella Valletta, instancabile eroina di grandi battaglie di prevenzione.

Per la collocazione della cassetta si è scelta via Aurelio Saffi, sede di alcuni uffici comunali; presenti alla cerimonia inaugurale la vice sindaca Lorena Fantozzi e la Dott.ssa Federica Petrelli psicologa responsabile del “Centro donna”, la delegazione di Fermiconlemani costituita dalla presidentessa Tiziana Cecere e dai soci Pierfrancesco Impedovo e Daniela Corrado, nonché la presidentessa di Crisalide Odv Antonella Valletta.

Presidente di Fermiconlemani Avv.ta Tiziana Cecere: <<Silenzio e indifferenza sono molto pericolosi e diventano alleati della violenza: come Associazione, insieme al supporto e alla collaborazione dell’associazione nostra partner Crisalide Odv, sentiamo il dovere morale di contribuire a smuovere le coscienze in favore di una cultura di parità di genere, della non violenza e della non sopraffazione. Desideriamo costruire ogni giorno un futuro che neghi la violenza in generale, soprattutto per i più giovani, non soltanto contro le donne ma contro ogni essere vivente; questa la nostra mission condensata nel nostro slogan da me coniato: “Tutto ciò che desideri è dall’altra parte della paura>>.

LA VIOLENZA: PARADIGMA DEL NOSTRO TEMPO

Ragazzi col “virus” della violenza.

La presidentessa, Avv.ta Tiziana Cecere, e il nostro socio, Prof. Pierfrancesco Impedovo, riflettono su un tema cruciale del nostro tempo: la violenza giovanile.

Gesti come quello a cui si è assistito sul palco dell’Ariston qualche giorno fa mettono in atto un rituale primitivo che spinge alla caccia di capri espiatori o vittime; qualcuno vorrebbe liquidarlo circoscrivendolo ad una sorta di improvvisa reazione post-pandemia.

Questa ipotesi è solo un modo per tentare di scaricare le responsabilità di un disagio giovanile che è esploso sì con il Covid, ma che già covava da anni, tantissimi anni e senza che nessuno se ne occupasse.

Non solo bullismo e cyberbullismo. Quella che comunemente chiamiamo violenza giovanile può assumere tante altre forme, prendendo di volta in volta le sembianze dello stupro, dello stalking, dell’autolesionismo o di quella che diffusamente viene definita come “revenge porn”, ovvero la condivisione pubblica non autorizzata di immagini e video intimi tramite Internet per vendetta.

Ad essere coinvolti un esercito di adolescenti che sempre di più mettono in atto comportamenti aggressivi a scuola, in famiglia, in gruppo e addirittura in coppia, senza avere spesso la consapevolezza della gravità delle loro azioni.

Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, 2 adolescenti su 50 hanno subìto aggressioni fisiche dal proprio partner già a partire dai 14–15 anni, 1 adolescente su 10 ha paura della persona che ha a fianco e 3 ragazzi su 50 si sentono incastrati nella propria relazione sentimentale perché vittime di minacce.

Una pletora di violenti, figli di un’assenza di pilastri educativi, di modelli autorevoli, figli del conflitto, della disgregazione familiare, scolastica e sociale.
Giovani che ritengono il loro comportamento un banale gioco e un momento di divertimento, senza conoscere il rispetto per se stessi e gli altri.

Il problema è che, la maggior parte delle volte, la violenza è nascosta dietro un’apparente normalità ed è per questo che diventa così difficile comprendere il senso del suo dilagare fin dalla più giovane età.

C’è poi un’altra faccia, poco attenzionata, della violenza che riguarda quasi esclusivamente le giovani generazioni: l’autolesionismo.

In Italia, nonostante sia un fenomeno molto diffuso, non si vuole parlare di autolesionismo e non si fa prevenzione e questo porta i ragazzi ad aver paura del confronto, a nascondersi nei rifugi virtuali, nei social e nei gruppi pro-autolesionismo.

I ragazzi che arrivano ad avere comportamenti autolesivi lo fanno perché ne hanno bisogno, perché sentono un impulso irrefrenabile che non sanno controllare, una sofferenza interna che non sono in grado di gestire, che li invade e che devono scaricare sul corpo. È proprio il corpo, infatti, che racconta il loro dolore interno; ogni segno e ogni cicatrice rappresenta una ferita aperta, racchiude un’emozione che ha preso il sopravvento e che li ha schiacciati da un punto di vista psicologico, rappresenta l’unico modo per loro di esprimere una sofferenza altrimenti indicibile.

É riduttivo pensare che chi mette in atto questi comportamenti in maniera sistematica lo faccia per attirare l’attenzione. Questi ragazzi vivono in profondo conflitto, con la paura di non essere compresi e di essere scoperti, si sentono stigmatizzati ed emarginati dalle famiglie, dalla scuola e dalla società.

La nostra pluriennale esperienza nella prevenzione e nel contrasto ad ogni forma di violenza ci insegna che se vogliamo davvero combattere questa piaga, specie fra le giovani generazioni, dobbiamo spogliare vittime e carnefici dei loro ruoli, ridare loro dignità, la possibilità di scegliere, di affrontare se stessi e il mondo circostante senza paura.

Sempre più adolescenti crescono e vivono in un contesto sociale che usa il linguaggio della violenza a tutti i livelli, dove non si tende al confronto ma allo scontro.

Se si continuano a sottovalutare questi fenomeni, metteremo sempre i cerotti mentre si dovrebbe affrontare il problema sul nascere, a partire dalle scuole primarie, lavorando realmente sulla prevenzione.

Per questo Fermiconlemani costantemente promuove all’interno degli istituti scolastici di ogni ordine e grado una serie di eventi volti alla prevenzione della fenomenologia violenta online e offline, con la specifica finalità di valorizzare il ruolo dell’istruzione nel favorire il rispetto reciproco.

La sfida del nostro tempo è quella di rafforzare e ricostruire alleanze educative, allargare le reti di collaborazione tra le istituzioni scolastiche, enti locali e terzo settore, con tutte le associazioni che operano sul territorio. Questo è lo strumento per potenziare l’offerta educativa dalla più tenera età fino a quella adulta, sostenere le famiglie, combattere i fenomeni di devianza, per ricucire il tessuto sociale, rimettendo al centro la persona, garantendo inclusione e crescita.

Non sarà facile ma è tempo di aprire la via della prevenzione, se vogliamo davvero contrastare la violenza.

Fermiconlemani C’è!

Il diavolo che agisce sulle nostre vite

Una cornice principesca per il battesimo di un saggio che già si preannuncia un grande successo editoriale

Ieri, 29 gennaio, in una location ricca di storia e di regalità, il museo civico Principe Guglielmo Romanazzi Carducci di Santomauro a Putignano, si è tenuta la prima presentazione del saggio di esordio della nostra presidentessa, avv.ta Tiziana Cecere, “Il diavolo che agisce sulle nostre vite”, edito da Calibano.

Una platea gremita, attenta e partecipe ha fatto da cornice alla tavola rotonda moderata dalla dott.ssa Antonella Delfino Pesce, in cui l’autrice e il prof. Pierfrancesco Impedovo curatore della parte giuridica dell’opera, hanno discorso sui temi cruciali del saggio, attraverso costanti riferimenti ai casi più noti alla cronaca degli ultimi anni.

Chi è il Diavolo? Cosa sono le Sette? Di questo e di molto altro si è parlato in una chiave di lettura multidisciplinare attraverso la comparazione giuridica, psicologica e forense.

La premessa è che non facile occuparsi e scrivere di questo argomento, anche per chi vive una carriera professionale nelle aule di giustizia, ascoltando la sofferenza delle vittime.

I relatori hanno accompagnato gli ospiti in un viaggio attraverso un ambito che avvince, spaventa, confonde, dando loro la possibilità di comprendere, alla luce dell’esame dei casi e delle teorie scientifiche più accreditate, cosa siano davvero le sette sataniche e l’identikit di coloro che ne fanno parte, attraverso la lente d’ingrandimento del criminal profiling.

Presidente di Fermiconlemani Avv.ta Tiziana Cecere: “anche questa mia esperienza editoriale, come ogni altro progetto di Fermiconlemani, ha quale finalità la prevenzione. È possibile seminare germogli di legalità e di prevenzione di tali fenomeni tramite la conoscenza, specie dei più giovani, che li aiuti a non subire il fascino che le sette possono esercitare, che risiede soprattutto dall’alone di mistero in cui queste organizzazioni sono avvolte.

Fare chiarezza sulle dinamiche giuridiche, psicologiche, sociologiche e antropologiche sul tema del satanismo è di vitale importanza.

Un libro non ha il solo obiettivo di informare ma anche, e soprattutto, quello di aiutare i cittadini e i professionisti a prevenire, stimolando interventi di progettualità sociale che permettano di arginare tali dinamiche.

Chiudere gli occhi nei confronti del Satanismo significa ammettere che non sia un problema: decidere di non curarsene non equivale a farlo sparire.Purtroppo, come abbiamo avuto modo di riscontrare, alcuni gruppi degenerano in atti di violenza (fisica e psicologica), fino ad arrivare all’omicidio nei casi più gravi e acclarati.

Il nostro Paese difende il pensiero emancipato e la libertà di culto: è grazie all’informazione e alla cultura che tale libertà resta tale e non sfocia in pratiche disumane, violente e irrispettose dei diritti delle persone.

Questo libro ha voluto, quindi, inviare un chiaro messaggio di prevenzione reale, attraverso una disamina psicologica, giuridica e sociologica dell’argomento.Chi legge trarrà importanti consigli pratici, indispensabili in momenti difficili come questo dove la tanta “disperazione” diventa facile viatico verso il mondo occulto, visto da molti come una “soluzione”.

Shahla: storia di un femminicido di stato

Iran, donna incinta condannata a morte

La nostra presidentessa, Avv.ta Tiziana Cecere, riflette su una tragedia che tocca anche noi.

L’esecuzione sarebbe imminente, le autorità iraniane infatti si preparano a giustiziare una donna di etnia curda proveniente dalla provincia nord-occidentale dell’Azerbaigian. Un’altra vittima della repressione delle proteste scatenate in reazione alla morte di Mahsa Amini, la ragazza anch’essa curda uccisa dalla polizia morale a Teheran dopo essere stata fermata perché non indossava in maniera corretta l’hijab, il classico velo che copre la testa.

Ma questa volta la barbarie potrebbe toccare, se possibile, il limite estremo. Shahla Abdi, questo e il suo nome, ha circa vent’anni ed è incinta. È stata arrestata a metà ottobre a Urmia, la sua colpa sarebbe quella di aver dato fuoco ad un ritratto del fondatore della Repubblica Islamica Khomeini.

È stata rinchiusa nella prigione di Tabriz circa tre settimane fa e le speranze di rivedere la ragazza ancora viva sarebbero minime.

La nostra solidarietà alle donne iraniane e alla loro rivoluzione.

Un grido disperato che vuole dirci come in quella nazione così importante nel mondo, l’antica Persia, dal 1979 ci siano oppressione e violenza.

Eventi come questo ci impongono una riflessione che ci chiama a raccolta contro tutti i femminicidi del mondo.

Sono passati più di 40 anni da quando le donne iraniane per la prima volta si riversarono nelle piazze, le stesse piazze nelle quali ancora oggi scendono a protestare.

Il mondo è cambiato, anche le donne sono cambiate, eppure qualcosa non ha subito lo stesso processo se ancora le donne chiedono libertà.

Le nostre sorelle iraniane hanno molto da insegnarci: è evidente che quando le donne smettono di stare in silenzio e alzano la voce, qualcosa si muove.

Voci di chi, nonostante la dura repressione di questi giorni, continua a chiedere, in Iran, il rispetto delle libertà fondamentali, l’uguaglianza, la giustizia sociale e la fine di un sistema patriarcale oppressivo.

Donne che non hanno esitato a sollevarsi unite contro la morte di Mahsa Amini.

La capacità di resistenza delle donne è emersa in più occasioni nella storia del paese e la tenacia dimostrata ora, testimonia una consapevolezza e una strenua volontà di cambiamento che oggi bisogna sostenere a livello internazionale, seguendo le indicazioni che arrivano dalle piazze iraniane e da quelle che si stanno costruendo in tutto il mondo sotto la guida delle comunità in diaspora.

Loro lo stanno facendo: denunciano, anche nel loro piccolo. condizioni di sottomissione e stanno dando vita a una rivoluzione che sta coinvolgendo anche gli uomini; un fatto importante.

Si tratta di una battaglia che ci coinvolge tutti, fare nostro lo slogan che muove milioni di donne iraniane

”Donna, vita e libertà”   
è un dovere per noi, che da questa parte del pianeta abbiamo, con fatica e non per sempre, costruito diritti da condividere con chi è oppresso dalle dittature.

Martina Scialdone, la trentacinquenne avvocata uccisa a colpi di pistola dal suo ex compagno

Le riflessioni in chiave criminologica della nostra presidentessa, Avv.ta Tiziana Cecere e del Prof. Pierfrancesco Impedovo.

Si chiamava Martina Scialdone di soli 35 anni, l’avvocata romana con studio ai Parioli, esperta di diritto di famiglia che, ironia della sorte, si occupava con passione anche di violenza sulle donne, uccisa dal suo ex compagno, Costantino Bonaiuti, davanti ad un ristorante in zona Tuscolano. 

La donna è morta poco dopo i soccorsi, giunti tempestivamente sul posto e allertati attraverso il 112. L’uomo, un 61enne, è fuggito subito dopo, ma poi è stato raggiunto dalle volanti della polizia e arrestato a Fidene, nel quadrante della periferia nord della capitale. Aveva un porto d’armi per uso sportivo.

Un testimone riferisce: «L’ha ammazzata sotto i miei occhi. Litigavano, nessuno è intervenuto».

Il 2023 è appena iniziato ed ecco balzare alle cronache il primo efferato femmincidio.

Lo abbiamo detto più volte in queste pagine, che la violenza di genere non è imputabile solo ed esclusivamente al “mostro” di turno, ma è da ricercare in radici più profonde di quanto si può immaginare.

Quando parliamo di femminicidio, quindi, evidenziamo un problema che trova le sue radici nella morfologia, ancora di matrice patriarcale, della nostra società post-moderna; in questo humus la donna è posta in una condizione di inferiorità in determinate relazioni sociali, familiari e lavorative che fa sentire gli uomini, primi tra tutti quelli che con lei condividono relazioni più vincolanti, nel diritto di discriminarla, maltrattarla, violarla ed in fine assassinarla.

L’atto violento che ha come epilogo la morte, è solo la punta di un iceberg, dove la parte più imponente del fenomeno rimane nascosto, mal documentata dai media e dalle statistiche.

Fa orrore, ed è giusto che così sia, ascoltare dai TG che una donna è stata uccisa dal marito o ex compagno, ma troppo spesso non riusciamo a comprendere quante altre donne, in silenzio, nell’ombra, lontano dalla vista, soffrono e subiscono violenze siano esse di natura fisica che di natura psicologica. Ma ancor più spesso, quel “lontano dalla vista” diventa una volontà omissiva di non voler vedere quello che succede, ritenendo che il fatto ricada nell’ambito di una dimensione privata, di un aspetto familiare, dove noi pensiamo di non dover mettere bocca, inconsapevoli che praticamente diventiamo complici di quella fenomenologia violenta.

Per questo non basta, se pur già tanto, il semplice parlarne, ma l’impegno per una sana società democratica, e per ogni singolo individuo della società, dovrebbe essere quello di adoperarsi materialmente, affinché certi fenomeni che vediamo, ma non vogliamo vedere, non restino chiusi tra le mura dell’abitazione della malcapitata, ma vengano portati alla luce dando il proprio contributo materiale.

Cruciale è dunque in questo contesto il ruolo di realtà istituzionali e sociali come FERMICONLEMANI, una rete di “attori” impegnata quotidianamente nelle attività di ascolto, sostegno, prevenzione, formazione, informazione e sensibilizzazione della collettività contro ogni forma di violenza e discriminazione.

Sul piano soggettivo, Il femminicidio, giova ricordarlo, è un omicidio che affonda le proprie radici in un terreno affettivo ed emotivo arido, scarsamente empatico, dove le persone sono ridotte a cose da usare e possedere.

Chi arriva a commettere un femminicidio è tendenzialmente incapace di accettare ed elaborare l’abbandono.

Spesso il femminicidio è l’epilogo di un altro reato troppe volte sottovalutato: lo stalking.

In un mondo emotivo narcisista ed infantile, l’altro viene percepito come uno strumento per soddisfare i propri bisogni.

Il bambino appena nato, vede nella madre un mezzo per sopravvivere e solo in seguito si affeziona a lei, riconoscendola come oggetto d’amore.

Dalle dinamiche del rapporto madre/figlio, oltre all’amore, emergono sentimenti distruttivi quali: la gelosia, il possesso e l’invidia.

Tali pulsioni emozionali se non vengono comprese ed elaborate correttamente dall’apparato psichico, danno vita a dinamiche comportamentali distruttive che generano risentimento, frustrazione, rabbia e odio, esattamente ciò che muove i comportamenti dello stalker nel compimento delle sue condotte.

Il femminicidio, dunque, spesso nasce da una profonda distorsione affettiva, emotiva comunicativa, improntata alla violenza, agita in un contesto disturbato, dove le fragilità: cognitive, emotive, affettive e sociali, dei soggetti in gioco, prendono il sopravvento.

In tale contesto, affettivamente deprivato e deprivante, per mantenere il controllo sulla persona viene agita ogni genere di violenza psicologica e fisica per garantire il mantenimento dello status quo. Per indebolire la volontà altrui vengono instillati, giorno dopo giorno, giudizi limitanti, critiche più o meno velate per ledere il senso di sicurezza, sino a generare profondi sensi di inadeguatezza, vergogna e colpa. Chi maltratta sminuisce sistematicamente l’altro, umiliandolo e annullandone anche la più banale libera manifestazione di sé.

Chi ama non ti sottomette. Chi ama ti migliora.

L’amore è bellezza, l’amore è cura, l’amore è volere il bene incondizionato dell’altro anche quando si allontana. 

Amore è soprattutto amarsi e non lasciarsi ridurre a cosa tra le cose.

Il team di Fermiconlemani si unisce al cordoglio della famiglia e della comunità forense romana.

Gli auguri di FERMICONLEMANI per le festività natalizie e un 2023 di speranza

Cena sociale 2022: un momento di condivisione e progettualità

Anche quest’anno, come da tradizione, lo scorso 22 dicembre, si è tenuta la cena sociale.

La nostra “comunità gentile” si è ritrovata per un momento di convivialità, ma anche di riflessione collettiva.

La pandemia del covid, oltre che una crisi sanitaria, economica e sociale, si è connotata per il suo dirompete potere divisivo fra le persone. Si è affermata una frammentazione sociale che ha dissolto perfino «la fisicità dello stare insieme».

Per questo abbiamo fortemente voluto ritrovarci, occhi negli occhi, con il cuore colmo di entusiasmo e nella mente una miriade di progetti, tutti convergenti verso la nostra mission: la semina di valori positivi, la formazione, l’informazione e la prevenzione della violenza in ogni sua manifestazione.

La cena è stata altresì l’occasione per festeggiare il compleanno della nostra socia Daniela Corrado.

Perchè Fermiconlemani, prima che un’associazione, è una comunità di persone legate da rapporti personali di amicizia e fratellanza, fondati sulla condivisione di valori e obbiettivi.

Ognuno di voi è un seme prezioso che sprigiona idee e forze vitali che io coltiverò sempre con cura e dedizione.

Questa la dedica pensata dalla nostra presidentessa, Avv.ta Tiziana Cecere, che fa da cornice al gadget regalato a tutti i soci, espressione autentica dell’identità del nostro team: spirito di gruppo, integrazione e fiducia reciproca.

Da tutto il team di FERMICONLEMANI gli auguri di serene festività natalizie e di un 2023 di rinascita.

Sfruttiamo questo nuovo inizio per essere migliori; dedichiamoci a costruire e arricchire legami che ci rendono persone.

Per recuperare il senso del limite, della nostra vulnerabilità come un valore. E con essa la capacità di contare sulle nostre forze, che sono enormi soprattutto se impariamo a cooperare, a guardare alle fragilità dell’altro come le nostre.