Al via il processo per violenza sessuale a carico del Dr. Miniello

FERMICONLEMANI fra le associazioni che chiedono di costituirsi parte civile al fianco delle vittime

Giovedì 19 gennaio, innanzi al GUP presso il Tribunale di Bari dott. Ferraro, si è celebrata la prima udienza preliminare del processo pendente a carico del ginecologo barese Giovanni Miniello, chiamato a rispondere di plurimi episodi di violenza sessuale, tentata e consumata, ai danni di sue pazienti.

Molte vittime hanno formalizzato la costituzione di parte civile; analoga iniziativa è stata assunta da diversi centri e associazioni antiviolenza tra cui FERMICONLEMANI a mezzo del procuratore speciale avv.ta Daniela Corrado del foro di Bari, designata dalla Presidente dell’ente avv.ta Tiziana Cecere.

L’ammissione di tali costituzioni sarà discussa e decisa in seno alla prossima udienza, fissata per il giorno 16 febbraio 2023.

Presidentessa di Fermiconlemani Avv.ta Tiziana Cecere: “per noi è fondamentale agire all’interno del procedimento penale nella veste di accusatori privati affiancando le donne offese, perché la violenza è un reato che lede l’intera comunità.

Molto importante è sottolineare che la legittimazione attiva a costituirsi parte civile nei processi per crimini violenti della nostra associazione è stata riconosciuta già da diversi organi giudicanti in svariati altri processi, grazie alla corposa attività dell’associazione, documentata in atti al momento della costituzione, forte di anni di presenza sul territorio contro le discriminazioni e contro la violenza in ogni sua manifestazione, che si è consolidata anche grazie al lavoro sinergico con istituzioni e con altre associazioni, attraverso una rete sul territorio di sportelli di ascolto, assistenza legale-informativa e percorsi di prevenzione; un lavoro fatto di impegno e risorse proprie. 

L’associazione Fermiconlemani, nonostante non riceva fondi pubblici, è sempre in prima linea al fianco delle vittime di violenza, sostenendole e offrendo loro assistenza legale, psicologica e  di empowerment personale”.

Martina Scialdone, la trentacinquenne avvocata uccisa a colpi di pistola dal suo ex compagno

Le riflessioni in chiave criminologica della nostra presidentessa, Avv.ta Tiziana Cecere e del Prof. Pierfrancesco Impedovo.

Si chiamava Martina Scialdone di soli 35 anni, l’avvocata romana con studio ai Parioli, esperta di diritto di famiglia che, ironia della sorte, si occupava con passione anche di violenza sulle donne, uccisa dal suo ex compagno, Costantino Bonaiuti, davanti ad un ristorante in zona Tuscolano. 

La donna è morta poco dopo i soccorsi, giunti tempestivamente sul posto e allertati attraverso il 112. L’uomo, un 61enne, è fuggito subito dopo, ma poi è stato raggiunto dalle volanti della polizia e arrestato a Fidene, nel quadrante della periferia nord della capitale. Aveva un porto d’armi per uso sportivo.

Un testimone riferisce: «L’ha ammazzata sotto i miei occhi. Litigavano, nessuno è intervenuto».

Il 2023 è appena iniziato ed ecco balzare alle cronache il primo efferato femmincidio.

Lo abbiamo detto più volte in queste pagine, che la violenza di genere non è imputabile solo ed esclusivamente al “mostro” di turno, ma è da ricercare in radici più profonde di quanto si può immaginare.

Quando parliamo di femminicidio, quindi, evidenziamo un problema che trova le sue radici nella morfologia, ancora di matrice patriarcale, della nostra società post-moderna; in questo humus la donna è posta in una condizione di inferiorità in determinate relazioni sociali, familiari e lavorative che fa sentire gli uomini, primi tra tutti quelli che con lei condividono relazioni più vincolanti, nel diritto di discriminarla, maltrattarla, violarla ed in fine assassinarla.

L’atto violento che ha come epilogo la morte, è solo la punta di un iceberg, dove la parte più imponente del fenomeno rimane nascosto, mal documentata dai media e dalle statistiche.

Fa orrore, ed è giusto che così sia, ascoltare dai TG che una donna è stata uccisa dal marito o ex compagno, ma troppo spesso non riusciamo a comprendere quante altre donne, in silenzio, nell’ombra, lontano dalla vista, soffrono e subiscono violenze siano esse di natura fisica che di natura psicologica. Ma ancor più spesso, quel “lontano dalla vista” diventa una volontà omissiva di non voler vedere quello che succede, ritenendo che il fatto ricada nell’ambito di una dimensione privata, di un aspetto familiare, dove noi pensiamo di non dover mettere bocca, inconsapevoli che praticamente diventiamo complici di quella fenomenologia violenta.

Per questo non basta, se pur già tanto, il semplice parlarne, ma l’impegno per una sana società democratica, e per ogni singolo individuo della società, dovrebbe essere quello di adoperarsi materialmente, affinché certi fenomeni che vediamo, ma non vogliamo vedere, non restino chiusi tra le mura dell’abitazione della malcapitata, ma vengano portati alla luce dando il proprio contributo materiale.

Cruciale è dunque in questo contesto il ruolo di realtà istituzionali e sociali come FERMICONLEMANI, una rete di “attori” impegnata quotidianamente nelle attività di ascolto, sostegno, prevenzione, formazione, informazione e sensibilizzazione della collettività contro ogni forma di violenza e discriminazione.

Sul piano soggettivo, Il femminicidio, giova ricordarlo, è un omicidio che affonda le proprie radici in un terreno affettivo ed emotivo arido, scarsamente empatico, dove le persone sono ridotte a cose da usare e possedere.

Chi arriva a commettere un femminicidio è tendenzialmente incapace di accettare ed elaborare l’abbandono.

Spesso il femminicidio è l’epilogo di un altro reato troppe volte sottovalutato: lo stalking.

In un mondo emotivo narcisista ed infantile, l’altro viene percepito come uno strumento per soddisfare i propri bisogni.

Il bambino appena nato, vede nella madre un mezzo per sopravvivere e solo in seguito si affeziona a lei, riconoscendola come oggetto d’amore.

Dalle dinamiche del rapporto madre/figlio, oltre all’amore, emergono sentimenti distruttivi quali: la gelosia, il possesso e l’invidia.

Tali pulsioni emozionali se non vengono comprese ed elaborate correttamente dall’apparato psichico, danno vita a dinamiche comportamentali distruttive che generano risentimento, frustrazione, rabbia e odio, esattamente ciò che muove i comportamenti dello stalker nel compimento delle sue condotte.

Il femminicidio, dunque, spesso nasce da una profonda distorsione affettiva, emotiva comunicativa, improntata alla violenza, agita in un contesto disturbato, dove le fragilità: cognitive, emotive, affettive e sociali, dei soggetti in gioco, prendono il sopravvento.

In tale contesto, affettivamente deprivato e deprivante, per mantenere il controllo sulla persona viene agita ogni genere di violenza psicologica e fisica per garantire il mantenimento dello status quo. Per indebolire la volontà altrui vengono instillati, giorno dopo giorno, giudizi limitanti, critiche più o meno velate per ledere il senso di sicurezza, sino a generare profondi sensi di inadeguatezza, vergogna e colpa. Chi maltratta sminuisce sistematicamente l’altro, umiliandolo e annullandone anche la più banale libera manifestazione di sé.

Chi ama non ti sottomette. Chi ama ti migliora.

L’amore è bellezza, l’amore è cura, l’amore è volere il bene incondizionato dell’altro anche quando si allontana. 

Amore è soprattutto amarsi e non lasciarsi ridurre a cosa tra le cose.

Il team di Fermiconlemani si unisce al cordoglio della famiglia e della comunità forense romana.

Femminicidi e violenza aumentano. Che cosa stiamo sbagliando?

Riflessioni del Dott. Michele Colasuonno

244° giorno dell’anno 2022 e 78 vittime di femminicidio.

A questo punto, penso che riflettere sul caso specifico, sulle dinamiche, o sugli aspetti psicologici rischi di diventare ripetitivo, e nulla s’andrebbe ad aggiungere alle tante voci di autorevoli colleghi che già hanno apportato tante considerazioni di questo genere.

E allora, vorrei provare a fare delle considerazioni un po’ più di ampie, provare a dare un altro punto di vista, il mio punto di vista.

Quello della violenza domestica mi sembra sia diventato ormai un cancro, che purtroppo si sta cercando di curare solo con della morfina, morfina sicuramente importante per lenire il dolore ma non curativa.

Violenza che sembra avere i piedi infangati in due elementi comuni, l’amore e la gelosia.

Inizierei questa riflessione con due domande, la prima; cosa è l’amore?

Innumerevoli volte mi sono trovato nel mio lavoro a porre questa domanda e sempre l’elemento comune nella risposta è un senso di smarrimento; come non sai cosa è l’amore? Come faccio a definirlo? La difficoltà nel definire qualcosa che sembra essere scontato, ma che forse scontato non è; e allora proverò a definire l’AMORE prendendo la risposta dalla Bibbia, San Paolo, nella prima lettera ai Corinzi definisce l’amore:

L’Amore è paziente, è benigno l’amore;

non è invidioso l’amore, non si vanta, non si gonfia,
non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità.
Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
L’Amore non avrà mai fine.

In queste poche righe penso che San Paolo abbia ben definito l’amore vero, quello che la maggior parte cerca e vorrebbe vivere. Tutto il resto è soddisfacimento di altri bisogni magari inconsci, che ci portano a volte in dinamiche alquanto ingarbugliate se non pericolose.

E allora quando crediamo di aver trovato l’amore dovremmo chiederci, quale mio bisogno soddisfa? E se non riusciamo a trovare nessuna risposta, forse siamo davanti all’amore vero.

L’altra domanda è cosa è la gelosia? E anche qui prendo in prestito la spiegazione che la Bibbia da della gelosia.

In più passi, Dio viene definito come un Dio geloso, ma di quale gelosia si parla visto l’atteggiamento di Dio in tutto il resto della Bibbia?

Di quella gelosia che custodisce l’amata/o, che protegge, che vuole il bene dell’amato/a, tanto che se il bene dell’amato/a è stare lontano Lui lascia la libertà di allontanarsi, perché l’amore non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira…

Mi sembra che sempre più Amore e Gelosia, in senso teologico e profondo, siano sentimenti provati verso gli oggetti che fanno parte della nostra vita, mentre verso le persone “amate” si sviluppi un senso di possesso e sottomissione.

Se ti possiedo, posso fare di te quello che voglio, sono nella posizione di fare di te quello che voglio e come voglio, la tua vita è nelle mie mani.

Arrivati a questo punto penso che tutti coloro che lavorano e operano nel campo della cura di questo cancro, debbano sedersi e cercare altre vie di cura che non sia solo la morfina.

Gli interventi legislativi sono rivolti, solo verso la delicata parte della vittima, giustamente, senza porre interventi incisivi e rieducativi del carnefice (sì rieducativi, da teologo e psicologo non posso che essere fiducioso e possibilista nei confronti delle persone). Carnefice che vive un proprio e vero inferno interiore, sotterrato da mille paure, a poco servono case di accoglienza o ingiunzioni di allontanamento, e su questo la storia e gli eventi continui c’è ne portano una prova. Forse oltre alle tanto utili e indispensabili case rifugio, avremmo bisogno anche di case di accoglienza per chi vive il lutto dell’abbandono, e solo non riesce a superarlo, per chi si sente sconfitto dalla paura della solitudine, per chi trasforma la rabbia per… in violenza verso, per chi… e la lista sarebbe molto lunga.

Altro aspetto importante da valutare secondo me, è l’effetto Werther, la divulgazione a livello giornalistico di tali notizie porta con sé l’effetto domino in senso negativo, mi chiedo quanto l’informazione di femminicidio infonde coraggio nella vittima nel chiedere aiuto. Tale effetto è stato preso in considerazione in altri ambiti, mettendo in atto degli interventi che hanno portato concreti miglioramenti.

Forse se si intervenisse nelle scuole con un insegnamento ai sentimenti, al riconoscimento di questi, al valore della vita, prendendo contatto con il naturale fluire degli eventi, aiutando i giovani nell’elaborazione che tutto inizia e tutto finisce e quindi alla elaborazione del lutto, si favorirebbe il rispetto della vita dell’altro e della propria.

L’Amore non avrà mai fine, ma ognuno deve fare la sua parte.

Dott. Michele Colasuonno

psicologo, teologo, ipnologo, mediatore familiare,

socio Fermiconlemani.

Alessandra Matteuzzi: una donna che poteva essere salvata.

Le riflessioni del nostro responsabile area psicologica Dott. Marco Magliozzi

Un altro efferato femminicidio in Italia: Alessandra Matteuzzi, 56 anni, è stata uccisa a martellate dall’ex compagno Giovanni Padovani, 27enne di Bologna.

Una tragedia che poteva essere evitata e che racconta l’ennesima inefficienza dei servizi di prevenzione.

Ma andiamo con ordine.

I due si erano conosciuti un anno fa e avevano cominciato a frequentarsi. Fin da subito, purtroppo, Giovanni aveva dato chiari segni di squilibrio emotivo, manifestando iper gelosia e iper controllo sulla compagna.

In svariate occasioni, l’uomo avrebbe anche lanciato piatti e bicchieri, urlato contro la donna e addirittura la perseguitava, passando molte ore sotto la sua abitazione.

Ormai esasperata, Alessandra il 29 luglio ha sporto denuncia, denuncia che però non ha mai sortito reali effetti. La procura ha infatti aperto un fascicolo, ma nei confronti dell’uomo non sono mai stati adottati provvedimenti restrittivi. I carabinieri stavano preparando un’informativa per i magistrati, ma aspettavano di completarla interrogando testimoni che erano in ferie.

Un vero e proprio caso di sottovalutazione del pericolo.

Dopo circa un mese, difatti, la tragedia. Alessandra è morta e tutto questo potevamo impedirlo.

Questo dramma racconta il deficit, tutto italiano, inerente ai programmi di prevenzione e di sensibilizzazione sulla violenza.

Secondo i dati aggiornati nel mese di giugno 2022, in Italia sono stati già commessi ben 51 femminicidi.

Molti di questi, probabilmente, avrebbero potuto essere evitati, se si fosse dato ascolto con più attenzione alle voci delle vittime, dei familiari, degli amici, che già da mesi, settimane, giorni, si erano appellati alle forze dell’ordine e ai servizi sociali.

L’assurdità, a nostro parere, è che ci si attivi solo quando sussistano reali violenze fisiche e mai, o quasi mai, quando iniziano a mostrarsi le prime avvisaglie. Non esiste solo una forma di violenza corporea, ma anche psicologica: esiste lo stalking, esistono gli appostamenti, le urla, i rimproveri, la gelosia patologica. Tutte manifestazioni che, nel tempo, possono trasformarsi in qualcosa di tragico, come è avvenuto con Alessandra.

Perché dunque aspettare che ci sia una violenza fisica prima di intervenire? Questa è la domanda che ci poniamo come Associazione.

“Fermiconlemani”, nel suo piccolo, cerca di inviare a gran voce il messaggio di quanto sia necessario fare prevenzione, di quanto sia necessario denunciare, senza attendere neppure un minuto, al primo indizio di violenza. Le persone non cambiano magicamente, non migliorano solo perché lo promettono in ginocchio. Se esiste un malessere profondo, un disagio psicologico ed emotivo, questo va affrontato con dei professionisti, in modo tale che questi papabili autori di violenza possano fin da subito essere aiutati.

Inoltre, e non meno importante, bisogna infondere coraggio a tutte le donne che hanno paura di denunciare e di parlare, per timore di rappresaglie di qualsivoglia genere da parte dei compagni.

Meglio affrontare la paura, che gettarsi tra le braccia della morte.

Crudo a dirsi, ma la realtà è peggiore di quanto la si immagini. Solo con vere iniziative di prevenzione e sensibilizzazione è possibile inviare questi importantissimi messaggi.

L’essere umano, ahimè, è restio a imparare dall’esperienza. Non bastano decine e decine di femminicidi ogni anno per comprendere quanto la soluzione non sia nella punizione degli autori ma nella formazione emotiva ed educativa dei nostri ragazzi, futuri uomini, che possono crescere imparando valori quali il rispetto, l’amore reciproco e puro, la parità dei sessi, una comunicazione sana.

Il lavoro va fatto nelle scuole, nelle famiglie, nei centri di aggregazione e solo per ultimo nelle carceri.

Il nostro saluto va ad Alessandra, ovunque ella sia in questo momento, e a tutte le donne uccise ingiustamente le cui morti potevano essere evitate, con qualche attenzione in più.

Dott. Marco Magliozzi

Psicologo, Psicoterapeuta, esperto in PNL Bioetica

Socio fondatore Fermiconlemani

www.marcomagliozzi.it

“CHILD MOLESTER “Scopriamo insieme chi sia e quali siano le conseguenze traumatiche dopo un abuso sessuale su un minore.

Il “child molester”, dall’inglese “colui che abusa di bambini”, è un individuo che agisce abuso sessuale nei confronti di soggetti minori.

In questa categoria rientra quindi: il coinvolgimento dei bambini in attività sessuali – anche semplicemente chiedendole o facendo pressioni di questo genere –, l’esposizione indecente dei genitali, lo sfruttamento sessuale dei minori e l’utilizzo del bambino per produrre materiale pornografico.

Secondo la letteratura, gli abusi sui minori possono verificarsi in diversi contesti, nello specifico quelli in cui la presenza dei bambini è abitudine, ad esempio le scuole o le abitazioni private.

Molti, e gravi, sono gli effetti psicologici nella mente delle vittime, che possono includere depressione, disturbo post-traumatico da stress, ansia, bassa autostima, autolesionismo, propensione alla vittimizzazione in età adulta o alle dipendenze (es. alcolismo o uso di droghe), senza considerare anche le lesioni di natura fisica. Uno studio finanziato dal National Institute of Drug Abuse degli Stati Uniti, ha rilevato che “tra più di 1.400 donne adulte, l’abuso sessuale infantile era associato a una maggiore probabilità di tossicodipendenza, dipendenza da alcol e disturbi psichiatrici”. Molti bambini possono mostrare anche comportamenti regressivi, ad esempio succhiare il pollice o fare pipì a letto. Se consideriamo le forme d’incesto, quindi se l’abusante è un membro della stessa famiglia, i traumi psicologici possono considerarsi ancora più gravi e a lungo termine.

Infatti, secondo le ricerche, il 30% dei child molester sono parenti delle vittime, il più delle volte fratelli, padri, zii o cugini. Circa il 60% sono conoscenti (es. babysitter o vicini di casa) e solo il 10% sono estranei. Sempre analizzando gli studi, la maggior parte degli abusi sessuali sui minori è commessa da uomini, mentre una piccola parte (14%) da donne.

Inoltre, menzione d’obbligo va fatta sui matrimoni precoci: secondo l’UNICEF, il matrimonio precoce rappresenterebbe infatti “la forma più diffusa di abuso sessuale e sfruttamento delle ragazze“.

Nel parlato comune, il termine “pedofilo” viene comunemente associato a questo tipo di abusi ma in maniera errata. I crimini sessuali su minori non rientrano infatti nella pedofilia, a meno che il reo non abbia uno specifico e parafilico interesse sessuale per i bambini in età prepuberale.

Holmes&Holmes (2002) suddividono così gli autori di reato:

  • Situazionale: non preferisce i bambini, ma agisce l’abuso solo a determinate condizioni;
  • Regressivo: in genere ha relazioni con gli adulti, ma un fattore di stress lo induce a cercare i bambini come sostituti;
  • Moralmente indiscriminato: deviante sessuale a tutto tondo, che può commettere altri reati sessuali estranei ai bambini;
  • Ingenuo/inadeguato: spesso caratterizzato da patologie mentali che gli provocano disabilità, percepisce i bambini meno minacciosi e quindi più adatti a esperienze sessuali;
  • Preferenziale: ha un vero interesse sessuale nei bambini:
  • Sadico: reo violento;
  • Fissato: ha poca o nessuna attività sessuale con individui della propria età, descritto come un “bambino troppo cresciuto“.

Da un punto di vista psicoterapeutico, è assolutamente necessario agire immediatamente sulle vittime, subito dopo l’abuso subito.

Il bambino/bambina ha subitaneamente bisogno di essere preso in carico, iniziando un trattamento terapeutico per rielaborare il trauma. Il rischio maggiore, infatti, è che i sintomi psicologici possano acuirsi e durare nel tempo soprattutto se, nella peggiore delle situazioni, le persone con le quali si confida (es. un parente) negano il problema o incolpano addirittura il bambino dell’accaduto.

La prevenzione, inoltre, ricopre un ruolo fondamentale: attività nelle scuole, nei centri d’ascolto, nelle famiglie, sono fondamentali per diffondere informazione e formazione, in primis ai genitori, ma anche agli insegnanti e agli addetti ai lavori (psicologi, medici, personale sanitario, membri delle forze dell’ordine).

È ormai caduta l’antica convinzione che ai bambini non si possa parlare di sesso: è invece necessario, utilizzando i giusti modi e le giuste modalità comunicative, diffondere una sana informazione, così da aiutarli anche a distinguere i pericoli nel loro ambiente, familiare o scolastico, e approcciarsi, nel futuro, alla loro vita sessuale nel migliore dei modi.

Ai genitori, invece, è assolutamente rivolto il prezioso messaggio di avere il coraggio di denunciare, anche i parenti o gli amici più stretti, senza negare o sminuire il problema. Il benessere del proprio figlio è sicuramente più importante del “giudizio esterno” o di qualsiasi altro limite autoimposto dalla famiglia.

Dr. Marco Magliozzi, psicologo, psicoterapeuta, criminologo,

Fondatore e Responsabile Area Psicologica di Fermiconlemani