La nostra socia onoraria Paola Colarossi ci ha fatto dono di una toccante e profonda riflessione sul senso autentico della gentilezza nella giornata mondiale che la celebra.
Non amo molto queste commemorazioni ma il tema della gentilezza è uno dei più cari al mio cuore.
L’invito ad essere gentili, oggi, è stato declinato in ogni modo possibile ed a questa pacifica invasione dei social decido di partecipare anche io, in silenzio da un po’, per sottolineare un aspetto che reputo fondamentale, quello della gentilezza verso noi stessi .
Stamattina parlavo con una cara amica – Faccio continuamente cazzate- mi ha detto parlandomi del suo attuale momento.
Frase all’apparenza banale. Capita, a volte, di essere distratti da preoccupazioni, di essere preda di vortici lavorativi, di subire gli effetti dei cambiamenti improvvisi, destabilizzandoci , perdendo il controllo sulla routine quotidiana.
Capita e in quei frangenti il giudizio su di noi cala come una mannaia sulle nostre teste.
Duro e implacabile.
Essere gentili con se stessi invece presuppone un moto di accoglienza di quel momento di defaiance, un atto di tenerezza verso noi stessi, un abbraccio simbolico dell’io fragile che si nasconde in ognuno di noi. In ognuno.
In quei momenti dovremmo coccolarci e trattarci con amore, avendo per noi quelle attenzioni che siamo disponibili a dispensare ad amici e persone care quando le vediamo in difficoltà.
La migliore arma per confortare un cuore ferito, un animo vinto, è la lode. Saper incoraggiare è arte nobile ed a volte basta uno sguardo amorevole, una pacca sulla spalla e, in alcuni casi, un simpatico occhiolino.
– Forza che ce la fai. Ho visto che sei in un momento no, capisco che è difficile ma dai, un piccolo sforzo ed è fatta.
Ve lo siete mai detti?
Il dialogo interiore gentile è un’arma potentissima, tanto quanto quello duro e tagliente che usiamo per giudicarci.
E allora, forza. Impariamo l’arte della gentilezza.
E quando si tratta di imparare servono mentori e guide che si affianchino a noi …
Fermiconlemani è un’ associazione di promozione sociale. Ha sede a Bari e si occupa, su tutto il territorio nazionale, di contrasto alla violenza. Supporta, tramite figure professionali che offrono il loro contributo a titolo volontario, tutti coloro verso i quali la Vita non si è mostrata gentile.
Avvocati, psicologi, assistenti sociali, docenti, pedagogisti, criminologi, psicomotricisti, e tanti soci, vittime di di violenze e di abusi psicologici, danno vita ad una “Comunità gentile” che contrasta la violenza, che favorisce prevenzione e supporta grazie alla sensibilità e alla accoglienza.
Il futuro, dice il Maestro che guida le mie azioni, è quello di avanzare verso la creazione di una nuova Era Umanitaria, in cui l’armonia, la collaborazione, l’allegria portino al Mondo la Pace di cui ha bisogno.
Fermiconlemani è questo ed è per questo che io mi fregio di farne parte come socia onoraria. Ma ognuno di noi può fare la sua parte e allora…forza, creiamo una comunità gentile in ogni dove.
29 ottobre una data ricca di importanti traguardi…
La nostra associazione, determinata nell’amplificare costantemente la sua missione di lotta e prevenzione contro violenza e discriminazioni anche attraverso la collaborazione con altre organizzazioni, ha ufficializzato l’accordo di collaborazione con l’associazione putignanese Collettivo Street Sociale SPP-LIT per lo sviluppo e la divulgazione degli obbiettivi comuni attraverso l’organizzazione di attività in partnerariato.
La cerimonia si è tenuta in presenza della sindaca Avv.ta Luciana Laera, dell’assessora alle politiche sociali la Prof.ssa Anna Caldi, del dirigente del Commissariato di Pubblica Sicurezza Dott. Gerardo Di Nunno e della ispettrice superiore Dott.ssa Antonella Gallinotti, dando un importante messaggio di coesione fra istituzioni e associazioni nel contrasto e nella prevenzione di ogni forma di violenza in una realtà complessa quale quella del quartiere periferico putignanese.
Le impronte della nostra presidentessa Tiziana Cecere e della sindaca Luciana Laera, hanno dato simbolico avvio alla trasformazione di una delle panchine presenti nel parco quella che diventerà una panchina rossa in memoria delle donne vittime di femminicidio: ”il posto di chi non c‘è”…
Appuntamento il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, per l’inaugurazione dell’istallazione permanente.
Vi invitiamo a seguire la nostra pagina facebook “Fermiconlemani” per il calendario dettagliato…
il 28 ottobre scorso istallate tre nuove cassette a Triggiano
Lo scorso 28 ottobre a Triggiano inaugurate tre nuove cassette dislocate all’ingresso del palazzo comunale, all’interno del parco Nassirya e presso la piazza comunale, luoghi di abituale ritrovo della comunità.
Significativa anche la partecipazione di una delegazione di studenti del Liceo Cartesio accompagnati dalla dirigente Dott.ssa Maria Morisco e dalla Prof.ssa Azzurra Dagostino.
A seguire il team di Fermiconlemani guidato dalla presidentessa Tiziana Cecere con i soci Daniela Corrado e Pierfrancesco Impedovo, si è spostato presso il liceo Cartesio dove si è tenuto un apprezzato seminario sulla fenomenologia della violenza online e offline nei gruppi di pari rivolto agli studenti delle classi quarte e quinte alle quali è stata offerta una testimonianza resa in videoconferenza da Antonella Valletta, autrice del libro “Ho smesso di tremare”.
244° giorno dell’anno 2022 e 78 vittime di femminicidio.
A questo punto, penso che riflettere sul caso specifico, sulle dinamiche, o sugli aspetti psicologici rischi di diventare ripetitivo, e nulla s’andrebbe ad aggiungere alle tante voci di autorevoli colleghi che già hanno apportato tante considerazioni di questo genere.
E allora, vorrei provare a fare delle considerazioni un po’ più di ampie, provare a dare un altro punto di vista, il mio punto di vista.
Quello della violenza domestica mi sembra sia diventato ormai un cancro, che purtroppo si sta cercando di curare solo con della morfina, morfina sicuramente importante per lenire il dolore ma non curativa.
Violenza che sembra avere i piedi infangati in due elementi comuni, l’amore e la gelosia.
Inizierei questa riflessione con due domande, la prima; cosa è l’amore?
Innumerevoli volte mi sono trovato nel mio lavoro a porre questa domanda e sempre l’elemento comune nella risposta è un senso di smarrimento; come non sai cosa è l’amore? Come faccio a definirlo? La difficoltà nel definire qualcosa che sembra essere scontato, ma che forse scontato non è; e allora proverò a definire l’AMORE prendendo la risposta dalla Bibbia, San Paolo, nella prima lettera ai Corinzi definisce l’amore:
L’Amore è paziente, è benigno l’amore;
non è invidioso l’amore, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L’Amore non avrà mai fine.
In queste poche righe penso che San Paolo abbia ben definito l’amore vero, quello che la maggior parte cerca e vorrebbe vivere. Tutto il resto è soddisfacimento di altri bisogni magari inconsci, che ci portano a volte in dinamiche alquanto ingarbugliate se non pericolose.
E allora quando crediamo di aver trovato l’amore dovremmo chiederci, quale mio bisogno soddisfa? E se non riusciamo a trovare nessuna risposta, forse siamo davanti all’amore vero.
L’altra domanda è cosa è la gelosia? E anche qui prendo in prestito la spiegazione che la Bibbia da della gelosia.
In più passi, Dio viene definito come un Dio geloso, ma di quale gelosia si parla visto l’atteggiamento di Dio in tutto il resto della Bibbia?
Di quella gelosia che custodisce l’amata/o, che protegge, che vuole il bene dell’amato/a, tanto che se il bene dell’amato/a è stare lontano Lui lascia la libertà di allontanarsi, perché l’amore non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira…
Mi sembra che sempre più Amore e Gelosia, in senso teologico e profondo, siano sentimenti provati verso gli oggetti che fanno parte della nostra vita, mentre verso le persone “amate” si sviluppi un senso di possesso e sottomissione.
Se ti possiedo, posso fare di te quello che voglio, sono nella posizione di fare di te quello che voglio e come voglio, la tua vita è nelle mie mani.
Gli interventi legislativi sono rivolti, solo verso la delicata parte della vittima, giustamente, senza porre interventi incisivi e rieducativi del carnefice (sì rieducativi, da teologo e psicologo non posso che essere fiducioso e possibilista nei confronti delle persone). Carnefice che vive un proprio e vero inferno interiore, sotterrato da mille paure, a poco servono case di accoglienza o ingiunzioni di allontanamento, e su questo la storia e gli eventi continui c’è ne portano una prova. Forse oltre alle tanto utili e indispensabili case rifugio, avremmo bisogno anche di case di accoglienza per chi vive il lutto dell’abbandono, e solo non riesce a superarlo, per chi si sente sconfitto dalla paura della solitudine, per chi trasforma la rabbia per… in violenza verso, per chi… e la lista sarebbe molto lunga.
Altro aspetto importante da valutare secondo me, è l’effetto Werther, la divulgazione a livello giornalistico di tali notizie porta con sé l’effetto domino in senso negativo, mi chiedo quanto l’informazione di femminicidio infonde coraggio nella vittima nel chiedere aiuto. Tale effetto è stato preso in considerazione in altri ambiti, mettendo in atto degli interventi che hanno portato concreti miglioramenti.
Forse se si intervenisse nelle scuole con un insegnamento ai sentimenti, al riconoscimento di questi, al valore della vita, prendendo contatto con il naturale fluire degli eventi, aiutando i giovani nell’elaborazione che tutto inizia e tutto finisce e quindi alla elaborazione del lutto, si favorirebbe il rispetto della vita dell’altro e della propria.
Le riflessioni del nostro responsabile area psicologica Dott. Marco Magliozzi
Una tragedia che poteva essere evitata e che racconta l’ennesima inefficienza dei servizi di prevenzione.
Ma andiamo con ordine.
I due si erano conosciuti un anno fa e avevano cominciato a frequentarsi. Fin da subito, purtroppo, Giovanni aveva dato chiari segni di squilibrio emotivo, manifestando iper gelosia e iper controllo sulla compagna.
In svariate occasioni, l’uomo avrebbe anche lanciato piatti e bicchieri, urlato contro la donna e addirittura la perseguitava, passando molte ore sotto la sua abitazione.
Ormai esasperata, Alessandra il 29 luglio ha sporto denuncia, denuncia che però non ha mai sortito reali effetti. La procura ha infatti aperto un fascicolo, ma nei confronti dell’uomo non sono mai stati adottati provvedimenti restrittivi. I carabinieri stavano preparando un’informativa per i magistrati, ma aspettavano di completarla interrogando testimoni che erano in ferie.
Un vero e proprio caso di sottovalutazione del pericolo.
Dopo circa un mese, difatti, la tragedia. Alessandra è morta e tutto questo potevamo impedirlo.
Secondo i dati aggiornati nel mese di giugno 2022, in Italia sono stati già commessi ben 51 femminicidi.
Molti di questi, probabilmente, avrebbero potuto essere evitati, se si fosse dato ascolto con più attenzione alle voci delle vittime, dei familiari, degli amici, che già da mesi, settimane, giorni, si erano appellati alle forze dell’ordine e ai servizi sociali.
L’assurdità, a nostro parere, è che ci si attivi solo quando sussistano reali violenze fisiche e mai, o quasi mai, quando iniziano a mostrarsi le prime avvisaglie. Non esiste solo una forma di violenza corporea, ma anche psicologica: esiste lo stalking, esistono gli appostamenti, le urla, i rimproveri, la gelosia patologica. Tutte manifestazioni che, nel tempo, possono trasformarsi in qualcosa di tragico, come è avvenuto con Alessandra.
Perché dunque aspettare che ci sia una violenza fisica prima di intervenire? Questa è la domanda che ci poniamo come Associazione.
“Fermiconlemani”, nel suo piccolo, cerca di inviare a gran voce il messaggio di quanto sia necessario fare prevenzione, di quanto sia necessario denunciare, senza attendere neppure un minuto, al primo indizio di violenza. Le persone non cambiano magicamente, non migliorano solo perché lo promettono in ginocchio. Se esiste un malessere profondo, un disagio psicologico ed emotivo, questo va affrontato con dei professionisti, in modo tale che questi papabili autori di violenza possano fin da subito essere aiutati.
Inoltre, e non meno importante, bisogna infondere coraggio a tutte le donne che hanno paura di denunciare e di parlare, per timore di rappresaglie di qualsivoglia genere da parte dei compagni.
Meglio affrontare la paura, che gettarsi tra le braccia della morte.
Crudo a dirsi, ma la realtà è peggiore di quanto la si immagini. Solo con vere iniziative di prevenzione e sensibilizzazione è possibile inviare questi importantissimi messaggi.
L’essere umano, ahimè, è restio a imparare dall’esperienza. Non bastano decine e decine di femminicidi ogni anno per comprendere quanto la soluzione non sia nella punizione degli autori ma nella formazione emotiva ed educativa dei nostri ragazzi, futuri uomini, che possono crescere imparando valori quali il rispetto, l’amore reciproco e puro, la parità dei sessi, una comunicazione sana.
Il lavoro va fatto nelle scuole, nelle famiglie, nei centri di aggregazione e solo per ultimo nelle carceri.
Dott. Marco Magliozzi
Psicologo, Psicoterapeuta, esperto in PNL Bioetica
In particolare Revenge PornPornografia non consensuale– Non Consensual Pornography (NCP).
Interessante approfondimento a cura della presidentessa Avv.ta Tiziana Cecere
La rapida e ampissima diffusione dell’uso dei social media, unitamente all’attuale tzunami di violenza nei confronti delle donne e delle ragazze ha fatto proliferare “la VAWG”: la violenza virtuale contro le donne e le ragazze che ha assunto a livello globale dimensioni mastodontiche producendo ripercussioni sia nei confronti delle vittime che nel substrato economico e sociale.
E’ stato rilevato, su scala mondiale, che una donna su dieci abbia già subito una forma di violenza virtuale, sin dall’età di 15 anni, nello spazio pubblico digitale che senza un utilizzo consapevole può divenire “un luogo pericoloso” .
Purtroppo, si tarda ancora a concettualizzare e a disciplinare in modo efficace e uniforme nell’Unione Europea (UE) la violenza virtuale contro le donne e le ragazze tanto che anche la ricerca condotta a livello nazionale negli Stati membri dell’UE è limitata. I dati della VAWG nell’UE sono scarsi e, di conseguenza, si sa molto poco sulla reale percentuale di vittime di violenza virtuale contro le donne e le ragazze e sulla portata dei danni poichè nella maggior parte degli Stati membri le forme di VAWG virtuale non sono considerate reato. I dati della polizia e della giustizia penale sul fenomeno sono irrisori e pur se negli Stati membri in cui le forme di VAWG virtuale costituiscono un reato, i dati raccolti mancano di organizzazione per sesso della vittima e autore del reato e del rapporto fra loro.
E’ interessante riportare i dati di un’indagine che ha coinvolto più di 9 000 utenti di Internet, di nazionalità tedesca, di età compresa tra 10 e 50 anni, da cui e’ emerso che le donne erano notevolmente più suscettibili e pativano situazioni piu’ traumatiche rispetto agli uomini nell’ essere vittime di molestie sessuali online e di comportamenti persecutori perpetrati attraverso mezzi informatici (cyberstalking).
Questo risultato è corroborato da un’indagine del 2014 condotta dal Pew Research Center negli Stati Uniti (le donne -in particolare le giovani della fascia di età di 18-24 anni) subiscono in misura sproporzionata diversi tipi di molestie virtuali, in particolare cyberstalking e molestie sessuali online.
Ad esempio, il cyberstalking perpetrato da un partner o un ex partner segue gli stessi modelli dello stalking off line ed è quindi una violenza perpetrata da un offender, facilitata dalla tecnologia, quale preludio spesso ad azioni criminali violente di persona.
Tale “continuita’ “ e’ stata confermata da uno studio britannico sul cyberstalking da cui e’ emerso che oltre la metà (54 %) dei casi di violenza on line era correlata a un primo incontro in una situazione reale.
Inoltre, i dati dell’indagine della FRA del 2014 mostrano che il 77 % delle donne che hanno subito molestie online hanno subito almeno una forma di violenza sessuale e/o fisica da un partner intimo, e 7 donne su 10 (70 %) che hanno subito cyberstalking sono anche state vittima di almeno una forma di violenza fisica e/o sessuale perpetrata da un offender conosciuto o ex partner.
Le forme di violenza virtuale contro le donne e le ragazze sono numerose ed e’ importante parlarne per conoscerle e poter mettere in atto tutte le azioni necessarie per prevenirle e per tutelare i propri diritti nel caso si assuma spiacevolmente la veste di vittime.
Il cyberstalking, pornografia non consensuale (o «pornografia della vendetta» o “revenge porn”), offese e molestie basate sul genere, stigmatizzazione a sfondo sessuale, pornografia indesiderata, estorsione sessuale, stupro e minacce di morte, ricerca e pubblicazione online di informazioni personali e private (doxing), e traffico di esseri umani perpetrato per via elettronica.
Non devono essere sottovalutate le varie forme di manifestazione e conseguenze della violenza nel cyberspazio, rispetto a quella off line, fra cui violenza sessuale, psicologica e violenza economica, in cui l’attuale o futura occupazione lavorativa della vittima è compromessa da informazioni pubblicate online.
Ci soffermiamo su una forma di violenza che finalmente in Italia dal 2019 e’ stata tipizzata in un reato: Revenge PornPornografia non consensuale – Non Consensual Pornography (NCP).
Tale forma di VAWG e’ conosciuta con il termine di revenge porn o sfruttamento online o «pornografia della vendetta», la pornografia non consensuale comporta la distribuzione online di fotografie o di video di sesso senza il consenso della persona ripresa.
La dinamica del revenge porn e’ piu’ diffuso di quanto possiamo immaginare.
Nel 2017, un’analisi del C.C.R.I. (Cyber Civil Rights Initiative) ha documentato che tra gli utenti di social media statunitensi uno su otto è stato vittima di revenge porn, prendendo in esame 3.044 individui.
L’8% è risultato vittima della pubblicazione non consensuale di materiali pornografici, denominata in breve “NCP”. E circa il 5,2% dei partecipanti ha ammesso di aver perpetrato la NCP. Inoltre, dallo studio è emerso che le donne hanno 1,7 volte più probabilità di essere vittime di NCP rispetto agli uomini.
Nel 2016, uno studio del “Data & Society Research Institute” ha rilevato che circa 10 milioni di americani sono stati vittime di NCP o sono stati minacciati di tale reato.
L’esecutore è spesso un ex partner che ottiene le immagini o i video nel corso di una precedente relazione, e mira a infamare e umiliare pubblicamente la vittima quale vendetta e ritorsione per la fine della relazione.
Comunque sia, gli offenders possono anche non essere partner o ex partner ma la motivazione alla base dei comportamenti criminali di questo reato e’ sempre la vendetta.
In alcuni casi, la persona offesa (uomo o donna) è vittima di violenza sessuale, spesso facilitata dalla droga da stupro che provoca, tra l’altro, ridotto senso del dolore, coinvolgimento nel disvoluto atto sessuale, effetti dissociativi e amnesia. Queste azioni criminali, ci duole riferirlo, sono diffuse anche tra i minori come la diffusa pratica del sexting, ovvero dell’invio di immagini intime come pratica di coppia: sovente tali immagini vengono diffuse a soggetti esterni alla coppia (il c.d. sexting secondario) andando a determinare situazioni dannose alle vittime analoghe a quelle prodotte dal revenge porn.
Le immagini possono essere ottenute anche memorizzando e utilizzando le foto dai profili dei social media o dal cellulare della vittima, e possono mirare a infliggere un danno nella vita «del mondo reale» delle persone offese (ad esempio facendoli licenziare dal lavoro).
Negli ultimi anni sono stati pubblicizzati diversi casi di donne vittime di vendetta pornografica non solo negli Stati membri dell’UE e negli Stati Uniti d’America, ma anche in Italia, le cui conseguenze sono state il suicidio delle vittime.
Infatti, solo in seguito al suicidio di Tiziana Cantone, nel nostro Paese, fu presentato un disegno di legge che mirava a introdurre l’art. 612-ter nel codice penale , “concernente il reato di diffusione di immagini e video sessualmente espliciti”.
Assistiamo ad un aumento di siti Internet dedicati alla condivisione della pornografia della vendetta, tramite cui gli utenti possono pubblicare immagini e informazioni personali quali indirizzo, datore di lavoro e collegamenti ai profili online della vittima.
L’utilizzo incontrollato dei social media ha prodotto anche un’orribile tendenza, quella della trasmissione dal vivo di atti di aggressione sessuale e stupro attraverso i social media tanto e’ vero che, nel 2017, purtroppo vi sono già stati due casi di grande risonanza pubblica, uno in Svezia e l’altro negli Stati Uniti d’America, di vittime il cui stupro è stato trasmesso in diretta online usando la funzione di Facebook.
In pochissimi paesi nel mondo quali Italia, Australia, Canada, Filippine, Giappone, Israele, Malta, Regno Uniti e alcuni stati degli U.S.A. esiste attualmente una legislazione specifica.
In Italia sono stati fatti dei grandi passi introducendo la fattispecie del revenge porn, l’articolo 612 ter del codice penale rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” con l’entrata in vigore del “codice rosso” il 9.8.2019,ma certamente c’e’ molta strada da percorrere in merito alla prevenzione tra le più giovani.A livello europeo sarebbe determinante migliorare i dati disaggregati sulla diffusione e sui danni della violenza virtuale contro le donne e le ragazze, per poter sviluppare indicatori e permisurare l’efficacia degli interventi cosi’ da mettere in atto azioni condivise negli Stati Membri contro le numerose forme di criminalità virtuale basate sul genere in particolare l’adescamento o «reclutamento» online di donne e ragazze in situazioni dannose come il traffico di esseri umani.
Avv. Tiziana Cecere
Criminologa
Coach e Conselour Bioetica
Master in PNL Bioetica
Esperta in Crimini Violenti, Violenza on line e off line, Dinamiche Settarie, Satanismo
Ideatrice del Metodo “Rinascere Danzando” e del Progetto “Cassetta Help”
Consulente di parte per:
supporto in indagini difensive, ricostruzione criminodinamica degli eventi, preparazione interrogatori,
analisi della testimonianza, ricostruzione del fatto criminoso.
CANALI 214 E 698 PUGLIA E 623 BASILICATA E PIATTAFORMA MONDIALE NCG TELEVISION
Il mondo dello sport fornisce attivamente supporto alle iniziative di prevenzione della violenza nello sport sia a livello nazionale che internazionale.
La questione della sicurezza nello sport, in particolare nei confronti delle donne atlete è un problema estremamente sentito nell’ultimo decennio che resta di attualità anche alla luce di recenti casi di discriminazione, violenza e razzismo.
Fermiconlemani intende analizzare il fenomeno anche alla luce delle nuove partnership sottoscritte con diverse associazioni sportive perche’ la cooperazione e l’azione sono le vere e prime forme di prevenzione.
C’e’ da dire che la donnanello sport è stata vista, per molto tempo come “un pesce fuor d’acqua” poiche’ inizialmente si e’ dovuta confrontare con l’indiscussa leadership maschile e poiche’ per stereotipi di genere l’immagine della donna doveva ricalcare quella della “chioccia” dedita alla famiglia.
Fortunatamente si e’ avviata un’evoluzione positiva di riconoscimento del ruolo e alle Olimpiadi di Londra del 2012 c’e’ stata la rappresentanza, per la prima volta nella storia, di un numero uguale di sport per le donne e per gli uomini.
Eppure le atlete nonostante i miglioramenti nell’uguaglianza di genere devono affrontano ancora numerosi ostacoli legati spesso alle molestie sessuali e alla violenza.
Insieme a referenti di note associazioni sportive nonche’ di professionisti esperti del settore analizzeremo, durante l’incontro introdotto e moderato dal Presidente di Fermiconlemani Avv. Tiziana Cecere, IN DIRETTA STREAMING E SU DIGITALE TERRESTRE MEDITERRANEA TV ,CANALI 214 E 698 PUGLIA E 623 BASILICATA E PIATTAFORMA MONDIALE NCG TELEVISION, i seguenti temi: le cause della violenza sulle donne in ambito sportivo, il supporto necessario degli uomini nelle attivita’ a difesa delle donne e nei progetti di prevenzione, l’importanza di avvicinare e impegnare i piu’ giovani allo sport inteso come un ambiente identificato “sano” per principio ove e’ possibile seminare germogli di legalita’ e rispetto per il gruppo di pari.
Gli esperti ospiti evidenzieranno le riforme e le disposizioni normative in materia di leadership femminile nello sport e di uguaglianza di genere nelle diverse discipline sportive in particolare nel Krav Maga e nella Pallavolo per lanciare un messaggio positivo di costruzione fortificando il mondo dello sport quale “amico” delle donne nel quale gli uomini collaborano per la difesa dei diritti delle atlete.
Il team work di Fermiconlemani e’ onorato per le adesioni e ringrazia la Federazione Nazionale e del distretto Puglia di Krav Maga , l’Associazione Amatori Volley Bari, l’Associazione Italiana Pallavolisti e gli illustri relatori : Avvocata Manuela Magistro, esperta in diritto sportivo, Direttore Sportivo Amatori Volley Bari, la Dott.ssa Alessia Lanzini, Vice Presidente Associazione Italiana Pallavolisti, Dott Domenico Taddei, Responsabile Nazionale e Docente Federazione FIKM, Dott. Francesco Numo, Dirigente Nazionale FIKM , criminologo esperto in psichiatria forense, Dott. Domenico De Giglio, Responsabile Sviluppo e Promozione FIKM
Avv. Tiziana I. CECERE Presidente di Fermiconlemani,
criminologa esperta in crimini violenti ed interventi di progettualita’ sociale
Il furto d’identità digitale è assimilabile al reato di sostituzione di persona previsto dal Codice Penale nel libro II Titolo VII all’art.494; attraverso questa fattispecie prevista dal legislatore del 1930 infatti, oggi è possibile includere anche le falsificazioni avvenute online.
Le modalità di questo reato sono molteplici, partendo da utenti che si fingono qualcun altro sul web per vantaggio personale, i cosiddetti fake, fino a veri e propri sistemi che alterano l’utilizzo di servizi online per vantaggio patrimoniale.
La norma, essendo stata riadattata al furto d’identità digitale e non essendo stata creata ad hoc, risulta generica e dunque fortemente influenzata dall’interpretazione della Magistratura.
Attualmente questa fattispecie prevede due falsificazioni alternative ovvero la sostituzione completa di persona, oppure l’attribuzione di un nickname, uno status o delle qualità personali false; risulta infatti punibile anche chi attraverso una falsa qualifica professionale organizza colloqui di lavoro per scopi personali.
Per comprendere in maniera completa questo reato appare essenziale fare delle comparazioni con il sistema e la dottrina statunitense, patria delle piattaforme digitali e di ciò che ne è correlato. In America, infatti, il furto d’identità digitale si divide in tre categorie, non associate a scopo di profitto economico: il catfishing, falsa identità contro una pluralità di utenti e il digital knidapping.
Il primo, da cui prende il nome anche il famoso programma tv di MTV, rimanda ad un vero e proprio “fake” dunque, alla condotta di chi “attira qualcuno in una relazione creando un personaggio online immaginario” (Oxford dictionary). Il catfish, attraverso l’inganno sui social network, raggira altri utenti intrattenendo relazioni virtuali senza mai svelare la propria vera identità, fisica e personologica.
La seconda categoria non sviluppa una relazione con un solo utente, ma interagisce con una molteplicità di utenti, in modo diretto o indiretto, anche attraverso degli intermediari a volte inconsapevoli della situazione creatasi.
Infine, con digital knidapping ci riferiamo a un utente che attraverso giochi di ruolo, quindi nascondendo la propria identità e non falsificandola, controlla altri individui non solo all’interno del gioco stesso.
Tornando alla legislazione italiana, identifichiamo questo reato come plurioffensivo, e procedibile d’ufficio, poiché esso lede la fede pubblica e una pluralità di utenti indeterminati: gli individui a causa di questi criminali, non riescono a fidarsi degli altri e non vivono serenamente i rapporti stretti online.
Analizzando gli elementi soggettivi del reato di furto d’identità digitale, notiamo come anche il tentativo è configurabile poiché la vittima potrebbe essere ingannata anche se il delitto non viene consumato, pur venendo in contatto con un profilo fake o altresì attraverso una mail sospetta di phishing.
Inoltre, è riconosciuto il dolo specifico: l’autore, con coscienza e volontà, deve porre in essere l’atto al fine di arrecare un danno procurandosi un vantaggio patrimoniale o non patrimoniale.
In alcuni casi invece, potrebbe configurarsi un reato impossibile quando manca l’elemento offensivo: un utente potrebbe utilizzare dei dati diversi dai propri per la registrazione ad un sito o sostituire la propria identità con una inesistente; la giurisprudenza però a volte cerca di configurare anche questi come reati per la teoria della generalprevenzione.
Il furto d’identità digitale si ricollega ad altre due tipologie di illeciti sul web: il phishing e il cyberlaudering.
A livello normativo, il phishing non è categorizzato precisamente, ma viene interpretato considerando il reato-mezzo, la sostituzione di persona, e il reato-fine ovvero la frode informatica.
Attraverso la “mail esca”, inviata apparentemente da siti istituzionali al fine di aggiornare dati personali con il collegamento a un link, il cybercriminale ingannerà l’utente riportandolo su un’altra piattaforma creata ad hoc: ed è proprio così che si sviluppa l’identity theft succeduto dall’ identity abuse.
Spesso, a stretto contatto con il phisher potrebbe esserci il financial manager, ovvero colui che utilizza i proventi dei dati sottratti per il riciclaggio di denaro, ovvero il cyberlaudering.
Analizzando questo reato dal punto di vista criminologico, invece, risulta importante dare attenzione alle tracce digitali che vengono lasciate sui sistemi di vittima e offender, importanti per la digital evidence e il profiling.
Gli elementi di prova devono essere suddivisi in tre fasi: l’identificazione dell’autore, attraverso lo studio dell’attacco e dell’obiettivo; l’analisi dei dati, attraverso la valutazione di motivazioni e skills, e infine il profiling vero e proprio.
Per identificare l’autore del reato si parte dunque dalla tipologia di attacco effettuato e dalla motivazione che lo ha spinto a scegliere un determinato sistema e determinate vittime.
È importante risalire all’utilizzo che il criminale ha fatto dei dati rubati ed alla complessità dell’attacco, i quali ci forniscono informazioni sulle competenze tecniche applicate ai cybercrimes. In base al metodo di aggressione, infatti, è possibile definire anche il livello di conoscenza dei linguaggi di programmazione, indagando l’utilizzo di codici già usati o innovativi.
Attraverso queste informazioni base, è possibile dunque, svelare i tratti caratteristici personologici e il progetto criminoso dell’offender.
Il profilo della vittima, invece, è molto più complesso da delineare: l’attacco potrebbe essere indirizzato verso utenti scelti o casuali oppure verso server ed enti istituzionali. Nel caso di singoli utenti scelti, essi potrebbero conoscere il criminale oppure potrebbero possedere simili caratteristiche attrattive. Altre vittime, invece, potrebbero essere selezionate casualmente da piattaforme istituzionali attraverso l’attacco a server di home banking, gestori telefonici e servizi di pubblica utilità.
La vulnerabilità rimane l’elemento comune di tutte le vittime, che essa sia dovuta alla disinformazione o alla mancanza di misure di sicurezza e così la prevenzione attualmente rimane l’arma più potente contro i cybercriminali.
Dunque, cosa fare concretamente per evitare d’incorrere in rischi come questo?
Il primo consiglio che sento di dare a tutti gli utilizzatori del web è di leggere attentamente prima di accettare qualsiasi tipo di autorizzazione e soprattutto di analizzare l’interlocutore che si incontra dall’altra parte dello schermo.
Se si nutre qualche dubbio rispetto alla mail ricevuta o alla richiesta di amicizia sospetta e non si riesce a capire la vera identità dell’utente, è sempre meglio farsi consigliare da un nostro caro o conoscente che è più preparato nell’utilizzo di pc e web.
Ognuno di noi dovrebbe supportare soprattutto anziani e bambini, che spesso per disinformazione, sono i più esposti a questi fenomeni.
Ricordiamoci: alcune volte, fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
Claudia Colonna, assistente sociale, criminologa, socia di Fermi con le Mani
L’allarme sociale si aggrava in tempo di quarantena per i pericolosissimi giochi in auge sulla rete informatica degli adolescenti che nascono dalle cattive abitudini che la generazione degli attuali quarantenni ha trasmesso in eredità ai nuovi giovani.
Attualmente l’utilizzo assiduo potremmo dire per tutto il giorno a causa della costrizione a vivere nelle mura domestiche degli smartphone, della rete internet e dei videogames sta facilitando e facendo aumentare in modo vertiginoso il cyberbullismo.
Per comprendere cosa sia il cyberbullismo e come mai sia diventato un problema sociale, non possiamo far finta di non sapere che i bambini posseggono uno smartphone già dai 9/10 anni e lo usano benissimo, ne sono affascinati e afflitti, ne sono così tanto dipendenti da portarlo nel letto al posto del vecchio caro peluche addormentandosi con il cellulare in mano.
Lo scenario della dipendenza dall’utilizzo dello smartphone e conseguentemente dei social da parte dei bambini e degli adolescenti o come oggi si usa dire “dei giovani adulti” e “nativi digitali” è diventato sconcertante perché motivato nella stragrande maggioranza dei casi nell’assenza di comunicazione all’interno del micro cosmo familiare e dall’assenza di empatia con le figure genitoriali.
L’isolamento dei giovani dai modelli educativi li ha attirati verso gruppi di pari nei quali riconoscersi e con i quali condividere un “credo”, una “mission”, quella dell’”impresa speciale che lasci un segno indelebile nella memoria della società’”, non preoccupandosi che la diffusione di questo segnale è legato alla morte, all’orrore, al pericolo e alla sofferenza.
Il cyberbullismo o bullismo elettronico è definito come un atto aggressivo, intenzionale condotto da un individuo o un gruppo usando varie forme di contatto elettronico, ripetuto nel tempo contro una vittima che non può facilmente difendersi (Smith, P. K., del Barrio, C., & Tokunaga, R. S., 2013). Esso ha però delle caratteristiche identificative proprie: il bullo può mantenere nella rete l’anonimato, ha un pubblico più vasto, ossia il Web, e può controllare le informazioni personali della sua vittima.
Ecco come si concretizza.
E’ nata purtroppo una” passione per i giochi pericolosi” tra i quali il più noto e diffuso é la “Blue Whale Challenge”, gioco infernale nato molto probabilmente dal suicidio di Rina Palenkova che su VKontakte, un social diffuso in Russia, ha documentato passo dopo passo, con foto e video, il suicidio della fanciulla a soli 16 anni.
Il nome balena blu o balena azzurra è ispirato al comportamento tipico delle balenottere azzurre che, ad un certo punto della loro vita si spiaggiano e muoiono in solitudine poiché sono esemplari che si sono persi e non riescono a tornare dal gruppo di origine.
Moltissimi giovani adulti e adolescenti sono stati attratti sul web dal gesto folle e incomprensibile compiuto dalle sedicenni tanto da costituire e far proliferare gruppi sulla rete Web su cui circolano notizie, informazioni e foto inquietanti che inneggiano alla morte e al suicidio.
Il macabro gioco al massacro da condividere in rete si svilupperebbe così: Un leader detto “curatore”, attraverso i social prospetta ai giovani partecipanti una serie di prove, la condizione per aderire è tenere all’oscuro di tutto i genitori. Le prove consistono nell’adempiere a 50 precetti di natura autolesionistica, uno al giorno, sempre più articolati in un crescendo fino al suicidio che rappresenta l’ultima regola la 50esima. Al cosiddetto “curatore o tutor” devono essere giornalmente
fornite le prove che confermano l’esecuzione delle regole e che consistono in video, foto e testimonianze
Vi sono altri due giochi diffusissimi e molto pericolosi uno è Pull a Pig e l’altro Rodeo Fat Girls.
I giovani adulti organizzano dei giochi che coinvolgono la sfera emotiva e sessuale come il Pull a Pig (letteralmente “inganna un maiale”): inerente un comportamento sadico nei confronti delle ragazze, denigrate per il loro aspetto fisico e la loro fragilità emotiva.
Un gruppo di ragazzi prende di mira una giovane, scegliendo solo quella ritenuta meno attraente e uno tra loro mette in atto un falso corteggiamento per “spezzarle il cuore” svelando solo dopo diverso tempo, che si è trattato di uno “scherzo” tra amici uscendo allo scoperto con un messaggio telefonico: You’ve been pigged”: tradotto “sei stata piggata”.
L’altra versione consentiamoci di dire “sadica” di tale gioco é quella chiamata Rodeo Fat Girls, in cui la vittima viene scelta tra le ragazze più in sovrappeso e vince al termine del gioco chi è riuscito letteralmente “a portare a letto la “peggiore di tutte”.
Questi giochi che colpiscono anche la sfera sessuale pare arrivino il primo dall’Inghilterra mentre il secondo sembrerebbe essere americano.
Oggi pare che solo in Russia annualmente 1500 ragazzi ogni anno si levino la vita, ma il fenomeno non è così distante da noi, poiché in Italia e addirittura in Bari si sta diffondendo come un volano.
Secondo un’indagine della Società italiani di pediatria il 15% degli adolescenti tra i 14 e i 18 anni in Italia si è procurato autolesionismo per provare sollievo.
Sono agli onori della cronaca i suicidi di alcune ragazzine italiani di tredici/quattordici anni inserite in questi gruppi di pari che con determinazione e attività di lavaggio del cervello e manipolazione mentale mettono in atto dinamiche di istigazione o induzione al suicidio.
Nella mia attività forense di avvocato penalista e criminologa esperta in prevenzione dei crimini violenti e dinamiche settarie ma soprattutto con le attivita’ seguite con FERMICONLEMANI ho assistito nell’ultimo anno alla disperazione di diverse coppie di genitori che sentono fallito il loro modello educativo e che chiedono aiuto alle istituzioni per preservare le giovani vite dei loro figli coinvolti in dinamiche di cyberbullismo che quotidianamente praticano il “Cutting”.
Stiamo assistendo a questo inquietante fenomeno giovanile Cutting termine inglese che deriva da to Cut (tagliare, ferire) messo in atto da giovanissimi che si feriscono la pelle delle braccia o di altre parti del corpo perché dà la sensazione di avere un estremo controllo della loro vita.
I procedimenti penali e civili che ne conseguono coinvolgono oltre i Magistrati anche numerose figure professionali, tra cui psicologi, educatori dei minori, curatori dei minori, assistenti sociali, neuropsichiatri infantili, avvocati, criminologi, organi di pubblica sicurezza, consultori familiari, un vero pool di professionisti che si coordinano per far emergere non solo la verità dei fatti e degli eventi, ma per supportare i minori che tentano il suicidio e le famiglie che devono percorrere una fase di affiancamento psicologico e di recupero del rapporto genitore/figlio.
Mi sento di riferire a tutti i genitori che si dovessero accorgere che i propri figli si isolano continuamente, che preferiscono sempre e solo il web al calore della famiglia ma soprattutto che scorgono tagli ricorrenti su varie parti del corpo, di chiedere immediatamente supporto e aiuto a tutti gli enti competenti, di avvisare immediatamente le strutture scolastiche e di affidarsi solo a professionisti esperti e specializzati nello studio, nello sviluppo e nell’assistenza di tali dinamiche.
Lanciamo un monito a tutti i genitori affinché vigilino sulla mania da selfie che potrebbe colpire i propri figli, in quanto indice di una potenziale patologia. Si chiamano sensation seeker e sono i cercatori di emozioni forti, disposti anche a correre rischi per ottenerle.
Abbiamo analizzato il fenomeno proprio dei selfie perché spesso siamo difronte ad una mania, altre volte addirittura sembrerebbe nascondersi una vera e propria malattia. Ad affermarlo è un gruppo di ricercatori della Nottingham Trent University e della Thiagarajar School of Management a Madurai in India. A dire degli studi effettuati, questo nuovo disturbo mentale presenta diversi livelli di gravità.
Il primo detto borderline, quello più lieve, chi soffre di selfite si scatta almeno tre selfie al giorno senza pubblicarli sui social network. Invece chi risulti affetto da selfite acuta si fotografa almeno tre volte al giorno e le pubblica sui social, ma ben più grave risulta la selfite cronica fattispecie in cui i selfie diventano vere e proprie ossessioni incontrollabili e ingestibili. Tanto è vero che da ricerche statistiche gli amanti delle reti sociali pubblicano un selfie almeno una volta a settimana, per il 63% una volta al giorno, nel14% dei casi e più volte al giorno, nel 13% dei casi ogni 2/3 ore. La pubblicazione del selfie sul web deve raggiungere il miglior risultato possibile in termini di consensi con like perciò pare che la gran parte degli appassionati scatti almeno 4 selfie prima di procedere alla pubblicazione.
Ci siamo chiesti il perché. Quali sono le motivazioni che spingono gran parte degli amanti del web e dei social network a ritrarsi in selfie con commenti forbiti e spesso accattivanti e maliziosi?
Viviamo in un era ammalata di esibizionismo e di affermazione della propria identità evidentemente compromessa da carenza di stima in se stessi e delle proprie capacità. Nell’era dell’”accelerazione delle emozioni” diventa prioritario seguire le tendenze in voga al momento e fare quello che fanno tutti gli altri per timore della riprovazione sociale, dell’esclusione, si esprime la necessità di affermazione della propria identità esponendosi in pubblico con immagini. Probabilmente considerare “la mania del selfie” una malattia mentale potrebbe risultare un po’ esagerato ma d’altronde fare troppi selfie pare celidelle insicurezze e un costante grande bisogno di ricevere conferme dagli altri. Ma lascio la parola agli esperti di psicologia che potrebbero valutare se dietro all’autoscatto eccessivo potrebbe nascondersi qualche problematica più o meno grave, di natura psicologica. Ciò su cui dobbiamo focalizzare l’attenzione é che la comunicazione dei social network e l’aumento dei selfie sono diventati parte integrante della vita quotidiana dei teenager.
I teenager di oggi i cosiddetti “Millennials” con data di nascita compresa tra il 1980 e il 2000, come scrive il Time rappresentano una generazione di narcisisti la cosiddetta: ^Me Me Me Generation^. Questi adolescenti dei tempi moderni sono appassionati di sensazioni forti dette sensation seeker (alla lettera: cercatore di sensazioni) si riferisce a un tipo di personalità in costante ricerca di sensazioni nuove e intense, unita alla disponibilità a correre rischi per ottenerle. Tali individui non cercano il rischio di per sé, esso è però una conseguenza del fatto che le sensazioni più forti possono essere sperimentate, spesso, solo in situazioni estreme. Ciò che il seeker non sopporta è la noia. È come se queste persone avessero una soglia della noia tarata su un livello molto basso, potendo restare solo un breve tempo senza attivarsi per scrollarsela di dosso. Sempre alla ricerca dell’ultima novità, dell’ultima release di vissuto inebriante, del modo migliore per ridurre la prevedibilità nella propria esistenza. Il seeker è insomma un impaziente.
Da ciò va da sé chedue adolescenti su tre sono vittima di cyberbullismo e un teenager su quattro pubblica almeno un selfie al giorno e ben il 35% dei giovani ammette di aver fatto un selfie in condizioni di rischio, estreme, altamente pericolose, come alla guida dell’autovettura, del motorino o in bilico sul terrazzo di un grattacielo. Gli esperti dello studio delle condotte criminali certamente non sottovalutano che negli ultimi 5 anni sono aumentati vertiginosamente i furti di identità digitale sui social, la detenzione di materiale pedopornografico, il reato di stalking, il reato di diffamazione online, il reato di minacce e molestie, e di “sextortion”: una richiesta di denaro estorsiva con ricatto dopo l’invio di fotografie che ritraggono la vittima in pose osé.
Sono aumentate le vittime di cyberbullismo e le vittime quali minori di reati contro la persona (dai 14 ai 17 anni).
Strano ma vero, purtroppo molti utenti del web credono che tutte le azioni “apparentemente semplici e inoffensive” messe in atto nella rete, in particolare sui social network come inviare messaggi, postare foto, commenti, notizie o intrattenere relazioni virtuali, siano un gioco, una sorta di passatempo privo di ogni rilevanza giuridica ed emotiva, sottovalutandole erroneamente. I risultati tratti dalle statistiche sono davvero inquietanti e ciò deve sollecitare i professionisti addetti alla prevenzione dei reati in particolare di quei reati ai danni dei bambini e degli adolescenti a valutare, studiare e offrire alle famiglie e agli educatori spunti e riflessioni e sensibilizzazioni per arginare i fenomeni causati dall’utilizzo distorto della rete facendo rivalutare ai giovani la propria quotidianità rispetto alla vita virtuale.
Da tale modalità di prevenzione nasce l’idea di creare “progetti specifici” come “Cosa aspiri a diventare” per la prevenzione dei crimini violenti tra i giovani e delle condotte a rischio adolescenziali, nella sensibilizzazione a ridurre l’abuso di stupefacenti e di alcool, e in stretto collegamento in particolare alle ultime due dinamiche anche nella prevenzione degli incidenti stradali. Fermiconlemani é un’associazione di promozione sociale, formata da un team di professionisti, quali educatori dei minori, pedagogisti, psicologi, psicomotricisti, avvocati e criminologi che si impegna tra le attività nella valutazione e analisi delle sensation seeker coordinati tutti nell’impegno prioritario di diffondere un pensiero di rallentamento e controllo delle emozioni forti e di aumento di consapevolezza del sé e delle identità degli adolescenti. Se non è facile essere genitori ai tempi dei social media, certamente diventa complicatissimo ai tempi del COVID 19 e certamente non possiamo pensare che la soluzione sia eliminare i social dalla vita dei propri figli, risolvendo così il problema alla radice anche perché paradossalmente in questo delicato periodo rappresentano un contatto con il mondo “oltre le mura domestiche”. L’indicazione generale è che sarebbe sempre meglio ritardare il momento di collegamento dei bambini con la rete informatica e i social lasciarli vivere la loro infanzia slegati dalle tecnologie digitali: avranno una vita intera per vivere il web, e prima o poi arriverà il momento in cui non si potrà negare loro di aprire un profilo Facebook o Instagram. Quando quel giorno arriverà, sarà meglio che siano prepararti e ben consapevoli di cosa hanno di fronte.
Occorre, pertanto, un’adeguata informazione nella materia in questione, in primis con riferimento agli adulti: oltre a sensibilizzare i giovani all’uso corretto delle proprie immagini in rete, è altrettanto importante educare i genitori, che spesso creano identità digitali ai loro figli – totalmente inconsapevoli – senza preoccuparsi delle ripercussioni future di tale gesto. Ci si trova di fatto al cospetto di una vera e propria ‘nuova frontiera’ del Diritto di Famiglia. Diventa per questo fondamentale il sostegno dei genitori nell’accompagnare i figli in questo percorso, cercando di comprendere insieme a loro limiti e opportunità, rischi e pericoli, senza la paura di far emergere le criticità insite in questi nuovi media. I genitori sono chiamati a rispondere ad una delle sfide più importanti dei nostri tempi: educare i propri figli all’utilizzo dei nuovi media. Perché se, a volte, in questi luoghi virtuali, che sono oramai un’estensione delle nostre vite reali, “comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Riteniamo che la famiglia che si trovi ad affrontare l’educazione rappresentata anche dalla gestione di emozioni, affettività, sessualità, non possa essere lasciata sola nell’affrontare questioni delicate.
Avv. Tiziana Cecere, presidente “Fermi con le mani”
Dr.ssa Tamara De Luca, vicepresidente “Fermi con le mani”