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Guida ai dress code dell’abbigliamento business per uomo

Consigli di stile per l’uomo contemporaneo dalla nostra Ottavia ditroia, responsabile progetto “benessere ed empowerment”

Anche per l’uomo è opportuno porsi qualche domanda in più quando si tratta di scegliere il giusto outfit da indossare in ambito professionale.

Per esempio: sapevate che bisogna tener conto non solo del settore lavorativo ma anche della cultura aziendale: come vengono rappresentati i dipendenti sul sito internet o nel materiale pubblicitario? Come si vestono in ufficio? Una buona regola è quella di non essere mai più eleganti del capo e allo stesso tempo non vestirsi più casual dei colleghi.

Inoltre, esistono diversi dress code della moda business: lo stile business attire, lo stile business casual, lo stile smart casual.

No panic!!

Questa guida passerà in rassegna ciascuno di questi stili in modo semplice e pratico con l’obiettivo di sgombrare la mente dai dubbi una volta per tutte.

STILE BUSINESS ATTIRE: con il termine “business attire” si intende il classico look da uomo o donna in affari. Il dress code business attire è molto formaleserio e conservativo. Questo stile viene detto spesso anche “business professional”. Per gli uomini è d’obbligo il completo formale con camicia e cravatta. Mentre l’abito dovrebbe essere di colori scuri come il grigio, l’antracite o il blu navy, per la camicia è possibile invece optare per un colore chiaro. La cravatta dovrebbe essere sempre di un colore più scuro della camicia, ma può contenere un leggero tocco di colore. Il panciotto è facoltativo nella maggior parte dei casi. Scarpe di pelle semplici ma eleganti con calzini coordinati e una cintura completano l’outfit.

STILE BUSINESS CASUAL:  riesce a combinare sapientemente eleganza e comodità. Si tratta di uno stile serio e professionale ma non troppo raffinato e rappresenta la nuova frontiera del dress code business. Questo stile, infatti, sta prendendo sempre più piede nelle aziende e organizzazioni moderne. Pur rimanendo entro i confini di un abbigliamento elegante, ben curato e sobrio, questo codice di abbigliamento offre più spazio per l’interpretazione personale. Il look business casual può quindi essere inteso come una variante meno impegnativa del classico look business. Lo stile business casual per gli uomini è meno rigoroso del tradizionale abbigliamento da ufficio, ma richiede comunque un look ordinato e abbastanza classico. Se la cravatta è facoltativa, non è possibile rinunciare a giacca o cappotto. Altri capi di abbigliamento che rientrano nello stile business casual per gli uomini sono: camicie con colletto stile francese, camicie leggermente più sportive con bottoni, maglioni in tessuti di alta qualità, pantaloni da completo, pantaloni classici in tessuto, chino estivi; scarpe di pelle eleganti e dall’aspetto professionale (ad esempio le scarpe Derby e Oxford) e cintura di pelle abbinata.   

STILE SMART CASUAL: a metà tra il formale e il casual, può essere descritto come semplice e pratico, ma allo stesso tempo elegante e ricercato. Per gli uomini, la transizione tra il business casual e lo smart casual è spesso fluida. Basta quindi seguire le regole generali del dress code business casual e alleggerire in modo mirato questo look. I capi di abbigliamento più sportivi come le polo, le scarpe da ginnastica eleganti o i pantaloni cachi possono essere abbinati ad un outfit più tradizionale.

Possiamo concludere affermando che nella maggior parte delle imprese non esiste un dress code aziendale fisso con regole chiare che si possono consultare quando ci si veste o si fa shopping. Tuttavia, esistono delle regole non scritte che si dovrebbero seguire per fare una buona impressione sul luogo di lavoro.

In caso di dubbi su quale sia il dress code appropriato per una nuova posizione lavorativa, è sempre meglio puntare su un outfit più classico. 

Ottavia Ditroia

FEMMINICIDIO: TRA SPETTACOLARIZZAZIONI ED INTERVENTI LEGISLATIVI

Riflessioni giuridiche -e non solo- della nostra socia Patrizia Ciorciari, avvocata penalista.

Dal primo di gennaio ad oggi sono oltre 20 i Femminicidi accertati. Donne che vengono uccise perché donne per mano dei propri patners o ex patners.

E’ una violenza dilagante che travolge non solo le donne uccise, ma intere famiglie, si tratta di donne, di mogli, di madri, di figlie, donne giovani e meno giovani. Si tratta di vite spezzate.

Giulia Donato Martina Scialdone Giulia Tramontano, tutte donne uccise dai rispettivi mariti compagni o ex che non hanno accettato la fine della storia, o come nel caso che ha toccato i cuori di tutti  di Giulia Tramontano, uccisa insieme al figlio THIAGO perché il partner non RIUSCIVA A REGGERE IL PESO DI DUE RELAZIONI”.

E’ una scia di sangue che non accenna a fermarsi  e che dopo aver macchiato  il 2022, continua  a farlo anche nel 2023.

Tutti questi drammatici eventi mi inducono in quanto avvocata in prima linea nella lotta alla violenza di genere e come privata cittadina sensibile a queste tematiche  a due profonde riflessioni.

La prima riflessione riguarda l’incidenza che  questi gravi accadimenti hanno dal punto di vista legislativo. Sull’onda emotiva di quest’ultimo terribile femminicidio l’attuale legislatore ha annunciato una ulteriore  giro di vite sulle norme per contrastare la violenza di genere. Dal 2009 ad oggi numerosi sono stati gli interventi che il legislatore ha posto in essere per contrastare questo fenomeno dilagante. Dalla Convenzione di Istanbul  sulla prevenzione e la lotta alla violenza di genere ratificata dall’Italia nel 2013; alla legge 119/2013 che prevedeva norme di sicurezza ;alla più recente legge n. 69/2019 meglio nota come Codice Rosso che oltre ad introdurre nuove fattispecie autonome di reato ha inasprito ulteriormente le pene per gli autori di tali crimini contro le donne oltre che ad introdurre ulteriori garanzie per la persona offesa.

Ma se guardiamo alla scia di sangue che i femminicidi hanno lasciato dal 2019  (anno di entrata in vigore del Codice Rosso) ad oggi,  se  guardiamo a tutte le vite spezzate, spontanea sorge la domanda: ma davvero inasprire le pene serve a qualcosa? A leggere i dati del Viminale sui femminicidi la risposta  è NO.  Perchè da sola la legge non basta, se a tale inasprimento non si affianca un vero e concreto intervento del Legislatore nella direzione del cambiamento culturale.  Servono interventi ed investimenti che vadano nella direzione di miglioramento delle competenze trasversali; servono fondi che aiutino i CAV, le case Famiglia, servono fondi per aiutare tutte quelle donne che sono  riuscite a salvarsi dalla spirale di violenza a causa di un marito e/o compagno maltrattante a riprendere in mano la propria vita spezzata. Servono fondi da investire nelle scuole, perché l’unico vero autentico cambiamento parte da qui. Dalla educazione delle giovani menti. È necessario sensibilizzare educare ed insegnare serve educare i bambini e le bambine di oggi per non dover difendere poi gli uomini e le donne di domani Perché da sola la legge non basta. 

Una seconda riflessione riguarda invece il circo mediatico che si determina a causa della risonanza a volte esagerata che i media danno a questi eventi criminosi al solo scopo di fare odience.  La spettacolarizzazione di questi tragici eventi, con il MOSTRO sbattuto in prima pagina o con conduttori televisivi che  come novelli PM AVVOCATI E MAGISTRATI si sentono in diritto di fare indagini ricercare le prove ad emettere sentenze in quello che ormai è diventata la sede ufficiale dei Tribunali ovvero le piattaforme social  . E quindi quello a cui assistiamo sono delle vere e proprie spettacolarizzazioni dei femminicidi,  in cui si consente a conduttori televisivi, di sbattere il mostro  in prima pagina o di minimizzare la gravità del reato ai danni della donna, che diventa così due volte vittima: vittima del reato prima e della narrazione che si fa della vicenda poi, oppure di anticipare sentenze.

Il mondo della informazione gioca un ruolo importante soprattutto nella mediazione tra ciò che viene espresso in Tribunale,  unica sede deputata ad esercitare la giustizia e ciò che viene trasmesso alla opinione pubblica.

L’ambito giudiziario non è certo immune da pregiudizi e stereotipi, per questo è importante un uso responsabile dello strumento informativo. L’abuso e la violenza di genere vanno comunicate e vanno comunicate in modo consapevole perchè raccontare la violenza è il primo passo per combatterla. Ed in questo i media esercitano un ruolo fondamentale.

Le parole a seconda di come vengono usate   possono pesare come macigni per la loro intrinseca violenza, oppure possono aiutare a comprendere distanziare ed elaborare. L’errore principale da evitare nella narrazione di una violenza di genere è quella che viene definita  la romanticizzazione  che tende a svuotare il femminicidio di tutta la sua gravità. Attraverso una errata narrazione   Amore Possesso e Gelosia diventano giustificazioni atte a deresponsabilizzare il reo. Sovente si ascoltano nei TG o nei programmi di informazione frasi come  “Era innamorato, ha ucciso in preda ad un raptus, oppure se l’e cercata”. Quante volte ho ascoltato queste frasi  quante e tutte le volte mi ribello ad esse perchè così facendo si finisce con il trasformare il carnefice in vittima ed in vittima il carnefice  minimizzando la gravità del reato, causando la cd vittimizzazione secondaria: del carnefice prima  e delle istituzioni poi. A questo poi si aggiungano le interviste ai vicini ai parenti ai genitori agli amici del reo che ovviamente lo descrivono come “un uomo, un padre perfetto ed esemplare oppure un bravo ragazzo” Tutti questi commenti trasmettono un messaggio negativo che tende a sminuire la gravità dell’atto violento.

Ecco perché il ruolo dei media è fondamentale . Ma per evitare che i social si trasformino in Tribunali populisti è necessario che la stampa ed i media in genere mantengano un certo equilibrio, che si responsabilizzino dinnanzi a verità giudiziarie che vittimizzano le donne o che giustificano gli uomini colpevoli, altrimenti chi ne risentirà sarà in primis questo lungo cammino di sensibilizzazione alla violenza il cui contributo primario parte proprio da un uso appropriato dei media. Dobbiamo perciò essere noi il cambiamento che vogliamo perché la copertura mediatica dei femminicidi continui ad essere il volano che induca le vittime di violenza a chiedere aiuto.

Patrizia Ciorciari

Manuel, bambino di 5 anni, ucciso da un suv guidato da uno Youtuber: un dramma figlio dei nostri tempi

Un approfondimento sottile sulle ragioni alla base di una ineffabile tragedia del nostro socio fondatore Dott. Marco Magliozzi, psicologo, psicoterapeuta, esperto in PNL bioetica

Nella giornata di ieri (15 giugno 2023), si è consumato un terribile dramma: in una frazione di Roma, Casal Palocco, un suv guidato da un ragazzo di 20 anni, accompagnato da quattro amici, ha travolto una smart con all’interno una donna con i due figli piccoli.

Purtroppo, Manuel, bambino di 5 anni, è morto nello scontro.

Secondo le prime ricostruzioni, il ragazzo 20enne, risultato tra l’altro positivo al test sui cannabinoidi, alla guida di una super car Lamborghini Urus con ben 666 cavalli di potenza, lanciato a tutta velocità, si sarebbe scontrato contro la piccola city car, uccidendo il piccolo Manuel e ferendo la sorellina di 3 anni e la madre, tutt’ora in ospedale in stato di choc.

Gli Youtubers “The Borderline”

I ragazzi all’interno del suv fanno parte di un gruppo di Youtubers che prende il nome di “The Borderline”, un termine che fa fin da subito intendere il loro “vivere al limite!”.

Obiettivo di questi Youtubers è quello di pubblicare video nei quali si lanciano in determinate sfide, mettendo a repentaglio anche la loro incolumità.

Il gesto di ieri, ovvero guidare a tutta velocità una Lamborghini da 666 cavalli, ne è stato un esempio!

Questo gruppo è seguito online da ben 600mila followers.

Una tragedia figlia dei nostri tempi!

Matteo, il ragazzo 20enne alla guida del suv, rischia ora l’accusa di omicidio stradale, mentre rischiano anche i quattro amici che lo accompagnavano i quali, secondo alcuni testimoni, avrebbero addirittura continuato a filmare la scena dell’incidente con i loro telefonini, nonostante la tragedia appena avvenuta.

Un dramma davvero figlio dei nostri tempi: challenge sui social, che mettono a rischio non solo la vita dei protagonisti ma anche quella di altre persone che vengono, a loro discapito, coinvolte.

Giovani che, pur di provare sensazioni forti ed eccitanti (quelli che la criminologia definisce “sensation seeker”), si lanciano in queste sfide pericolose e allarmanti, sono l’esempio della piega, purtroppo negativa, della nostra società.

600mila followers, 152 milioni di visualizzazioni dal 2020, pur di osservare gesti spericolati e fuori controllo.

Qual è il senso di tutto ciò?

Youtube e i social come paradiso e inferno della nostra vita

Youtube, e i social in generale, contengono il meglio e il peggio di quello che la società possa offrire.

Contenuti altamente costruttivi, culturalmente appaganti e ricchi di informazioni utili, uniti, ahimè, anche ad altro genere di contenuti distruttivi, diseducativi e al di fuori di ogni etica e morale.

Dovremmo davvero chiederci, come mai, 600mila persone seguano ragazzi che si filmano mentre guidano una Lamborghini da 666 cavalli. 

Qual è l’insegnamento?

Riflessioni conclusive

In qualità di psicologo, e membro di un’associazione che si occupa da anni di prevenzione, sono costretto a effettuare una disamina psicoeducativa.
I ragazzi andrebbero educati all’utilizzo dei social, così da ridurre l’impatto di questi personaggi che veicolano contenuti completamente sbagliati.
Non solo: parliamo anche del codice stradale, che permette a un 20enne fresco di patente di poter guidare un suv dalla potenza di 666 cavalli.
Tante disattenzioni che, mi auguro, possano servire a chi di dovere per sistemare queste lacune sia educative sia legali.
Per ora, non possiamo far altro che dare un fortissimo abbraccio alla famiglia del piccolo Manuel, vittima incolpevole di questa tragedia.

Marco Magliozzi

La nostra comunità gentile si presenta…

Federica Cuccia, neo socia, ci racconta di sé e delle ragioni che l’hanno spinta ad unirsi a noi.

Salve a tutt*, professionisti e attivisti dell’associazione “Fermiconlemani”.

Mi chiamo Federica Cuccia, vivo a Bari dai tempi dell’università e sono laureata in Psicologia Clinica e delle comunità presso l’Università degli studi di Bari Aldo Moro.

Nel mio percorso di formazione ho avuto esperienze teoriche nelle diverse ramificazioni della psicologia, potendo usufruire ed acquisire un background nei settori della psicologia generale, del lavoro, dello sviluppo, della genitorialità, delle neuroscienze, della criminologia e psicopatologia forense e nel settore della psicologia forense e della testimonianza, ambito in cui ho svolto il percorso di tesi sperimentale. Negli anni, tra gli studi universitari triennali e magistrali ho effettuato dei tirocini nel settore delle demenze (Alzheimer, Parkinson nello specifico), in ambito di ricerca della neuropsicologia presso l’UOC di Psichiatria, al policlinico di Bari lavorando con i Disturbi di Schizofrenia, Bipolarismo e Depressione Maggiore. Qui, ho appena terminato il tirocinio formativo post lauream della durata di un anno in ambito di ricerca in psicologia clinica e generale.

Parallelamente all’Università ho lavorato con il servizio civile universale presso la UILDM di Bari(Lotta italiana alla distrofia muscolare) con le disabilità legate a malattie come SLA e SMA. Ho colto l’occasione per farvi una breve presentazione su quella che è attualmente la mia formazione in modo da poterla mettere a vostra totale disposizione e per potervi mostrare il mio interesse a poter spaziare nei vari settori della professione e non.

Per questo motivo, sono davvero molto interessata ed entusiasta di poter cominciare con voi questa nuova esperienza.

Da anni, ho sempre nutrito grande trasporto e curiosità per tematiche quali la lotta contro i crimini violenti in fenomeni di violenza psicologia e fisica in genere e senza distinzione di genere, nel fornire strumenti per la prevenzione di ogni forma di violenza sia psicologica che fisica, nel riconoscere e contrastare la manipolazione mentale in dinamiche settarie, in dinamiche di bullismo, di cyberbullismo, di stalking e di cyberstalking. Rendere, pertanto, possibile la rimozione degli ostacoli che impediscono l’attuazione dei principi di libertà e di uguaglianza, tale da poter garantire l’esercizio del diritto all’istruzione, alla cultura e alta formazione (tematica a cui sono molto legata) nonché alla valorizzazione delle attitudini e delle capacità e risorse personali.

Grazie al Master in Mediazione presso l’ente Adsum, con la lezione della Docente Cecere ho avuto l’opportunità di conoscere questa bellissima realtà che opera sia sul territorio di Bari che a livello nazionale.

In linea con la mission dell’associazione, metterò in campo le mie risorse formative e non, pronta ad apprendere e collaborare con tutti i professionisti che svolgono la loro attività e danno il loro prezioso contributo all’associazione, cercando di cogliere da ognuno di loro e dalle loro differenti professioni un accrescimento non indifferente al mio bagaglio culturale e personale, in aggiunta anche a quello formativo.

Vi ringrazio e vi rinnovo la mia totale disponibilità.

Federica

OUTFIT AL LAVORO: MEGLIO GONNA O PANTALONE?

Per la nostra rubrica “pillole d’immagine” ancora preziosissimi consigli di stile della nostra Ottavia Ditroia, responsabile progetto “Benessere ed empowerment”

Me la sento rivolgere spesso questa domanda: cosa devo prediligere in ufficio d’estate? E’ meglio la gonna o il  pantalone?

Come al solito, quando si tratta di stile, le risposte non possono essere MAI generiche, ma si devono adattare allo specifico stile di vita di chi pone la domanda.

E allora cosa fare?

La chiave del successo è trovare un look da ufficio per l’estate professionale ma leggero, è un dato di fatto che lo stress termico influisce sempre sull’outfit, oltre che sulla produttività. 

Quindi ho studiato per voi questi outfit estivi per l’ufficio che vi permetteranno di affrontare con stile e professionalità le alte temperature, oltre che call, meeting e quant’altro. Certo, tutte preferiremmo essere già sulla spiaggia in costume e infradito, ma visto che non è ancora possibile… meglio correre ai ripari con freschi look da ufficio che ci permettono di respirare persino quando l’aria condizionata smette di funzionare. Eccoli!

  1. PRIMA DI TUTTO PENSATE AI TESSUTI DA INDOSSARE: scegliete sempre tessuti naturali e non sintetici, perché fanno respirare la pelle, sono leggeri, comodi e lussuosi; perciò via libera al cotone leggero, al lino, alla seta…. Un esempio di outfit potrebbe essere un completo in lino o in cotone, con gonna o pantalone a seconda delle esigenze.  E per movimentare il classico dress code da ufficio, puntate su colori dal tocco vintage e ricercato. Black&white? Quello riservatelo al prossimo inverno! Gli accessori? Quelli di sempre: una borsa capiente e delle slingback.
  2. L’ABITO CHE SFIORA IL GINOCCHIO: il vestito in ufficio è bandito? Il segreto è prediligere abiti strutturati, come il tubino. Sopra, un blazer colorato dalla vestibilità ampia, che deve necessariamente essere più corto dell’abito di almeno 10 centimetri. Uno stratagemma di styling che contribuisce a donare professionalità al look da ufficio.
  3. MAI PENSATO AD UNA JUMPSUIT?: la tuta intera potrebbe essere la risposta in alcune circostanze, soprattutto quando siamo in ritardo e non abbiamo il tempo di pensare agli abbinamenti.  Il modello ideale è sartoriale, in un tessuto leggero e dal taglio non aderente, col colletto a camicia o a blazer. Nessuna divagazione cargo: la metà è il meeting, non il giardinaggio. Gli accessori qui giocano un ruolo fondamentale: gioielli semplici e minimali , sandali chiusi sul davanti a coprire le dita, una borsa di media grandezza, e soprattutto una cintura in vita, che regala all’outfit quel tocco formale in più.
  4. BLUSA CON GONNA MIDI: la gonna midi è un’alleata perfetta quando fa caldo in ufficio perché ci permette di stare fresche senza risultare inappropriate. Da abbinare ad una blusa bianca o in un colore acceso e, per completa il look, un paio di sandali dal tacco squadrato.
  5. MAXI-ABITO CON MANICHE A 3/4: come riutilizzare tutti i nostri meravigliosi e fluttuanti maxi-abiti, a fiori o in altre stampe, che quest’anno abbiamo lasciato nell’armadio? In ufficio, d’estate. Il focus è sulle maniche: per risultare impeccabili, coprire le spalle è d’obbligo. Da prediligere i modelli che esaltano le forme senza appesantirle, o al contrario, nasconderle: uno chemisier un abito a portafoglio stretto in vita che ricade morbido sui fianchi. Ai piedi, sandali alti, décolleté o al contrario sling back flat; non sono previste mezze misure. Da cambiare per la scampagnata nel weekend con un paio di sneakers.

Ottavia Ditroia

Delitto di Giulia Tramontano: quando l’aggravante discrimina la vita

Il nostro socio Prof Pierfrancesco Impedovo, processual-penalista e criminologo, si sofferma sulla delicata questione di diritto sottesa al caso della povera Giulia.

Una donna incinta è una donna che ha un’altra vita con sé. C’è, dunque, qualcosa in più che entra in gioco. C’è qualcun’altro a cui viene fatto un torto. Il torto supremo di portar via la vita. Nell’omicidio di una donna incinta accade qualcosa di doppiamente orrendo.

In queste ore gira in rete un hastag “#duplice omicidio” per sensibilizzare l’opinione pubblica a chiedere di cambiare il capo d’imputazione a carico di Alessandro Impagnatiello (risultato tecnicamente impossibile rebus sic stantibus), reo confesso dell’uccisione della giovane Giulia Tramontano incinta al settimo mese di gravidanza. 

Ricordiamo che il barman è imputato di omicidio volontario aggravato, occultamento di cadavere ed interruzione di gravidanza non consensuale. 

La domanda rivolta alle scienze giuridiche è quindi semplice.

Uccidere una donna incinta è duplice omicidio? 

Negli Stati Uniti d’America sì. 

Il governatore Eric Holcomb ha infatti promulgato una legge che riconoscere anche il bambino nel grembo come vittima, nel caso venga uccisa la donna che lo porta.

Ciò vuol dire che sia che si tratti di omicidio volontario, che di omicidio colposo il reato è duplice.

La norma vale «in qualsiasi fase dello sviluppo» del bambino e non è rilevante se l’autore del reato fosse consapevole o meno della gravidanza. Il secondo omicidio comporta un aggravamento di pena da sei a vent’anni. 

Per il nostro ordinamento, invece un feto non è ancora una persona. E se ciò che uccidi non è una persona “tecnicamente” non è stato un omicidio.

In caso di un omicidio di una donna incinta è quindi considerato come omicidio di una persona -con delle aggravanti, certo- ma non un duplice omicidio. Perché per la legge è stata uccisa una sola persona. Il feto viene considerato a tutti gli effetti un “pezzo” della madre, non una vita autonoma. 

Questo almeno finché il feto vivo non si è distaccato, in modo naturale o indotto, dall’utero materno. O a partire dal travaglio, secondo interpretazioni più recenti e meno restrittive del concetto di “uomo” (cfr Cas. 27539/2019). 

Per differenziare quindi il reato da procurato interruzione di gravidanza a omicidio ci deve essere il passaggio dalla vita intrauterina a quella extra uterina con la manifestazione del primo atto respiratorio. In altre parole il feto deve nascere vivo.

Pertanto, la legge italiana attualmente non prevede il riconoscimento del duplice omicidio in caso di assassinio di una donna in gravidanza, indipendentemente dal mese di avanzamento della stessa.

Da qui il sorgere in queste ore di un vasto movimento d’opinione atto a promuovere, nelle nelle opportune sedi governative, la richiesta di un intervento legislativo, affinché venga riconosciuto il duplice omicidio quando la vittima è una donna in gravidanza in stato avanzato e giungere ad infliggere pene più gravi.

  • l’Italia, purtroppo, non è nuova a casi di questo genere: 2001, Silvia Cattaneo 26 anni di Arese, 2003 Monica Ravizza 24 anni di Milano, 2006 Jennifer Zacconi 22 anni di Olmo di Martellago, 2017 Irina Bakal 21 anni di Formeniga, solo per citarne alcuni. 

La posizione del diritto penale di fronte ai temi dell’inizio e della fine della vita umana è accomunata non solo dalle zavorre ideologiche che, almeno in certi casi, sono in grado di “appesantire” l’opera dell’interprete e/o del legislatore, ma anche, su un piano per certi aspetti opposto, dalla necessità di fare i conti con gli incalzanti progressi della scienza e della tecnica. 

Rispondere ai quesiti “quando si nasce?” e “quando si muore?” in una prospettiva giuridica è divenuta un’operazione particolarmente complessa, visti, da una parte, gli studi sempre più dettagliati sull’embrione e, dall’altra, le tecniche che consentono di prolungare le funzioni vitali di un individuo ben al di là di quanto fosse anche solo immaginabile ai tempi di compilazione del codice penale. 

Il codice penale, come s’è detto,  assume come discrimen di tutela della vita il momento della nascita, che segna anche l’applicazione della fattispecie di omicidio comune (art. 575 c.p.) o, in presenza di condizioni di abbandono morale e materiale, di infanticidio (art. 578 c.p.). La “nascita” deve essere intesa come il distacco del feto dall’utero materno, naturale o indotto: prima di questo momento possono trovare applicazione i delitti di aborto, dopo questo momento si apre la via all’applicazione dei delitti di omicidio. 

Una legislazione ragionevole, forse, dovrebbe anzitutto predisporre una tutela il cui grado di incisività corrisponda ai diversi stadi di sviluppo del concepito, in accordo con gli interessi di cui è titolare la madre (rectius, la donna), senza contare la necessità di delineare un sistema intimamente coerente di tutela penale della persona in limine vitae e in limine mortis: pur nella consapevolezza che l’“equilibrio perfetto” non è un obiettivo giuridicamente raggiungibile, specie quando a venire in considerazione siano gli interrogativi essenziali relativi alla stessa condizione umana (Cos’è la vita? Cos’è la morte?). 

Attendiamo fiduciosi.

Pierfrancesco Impedovo

Giulia Tramontano: un femminicidio e un figlicidio figli della società dell’Ego.

Il nostro socio Prof. Michele Colasuonno, psicologo e teologo, ci accompagna in una riflessione struggente e schietta sulla genesi di questi tragici avvenimenti.

Mentre mi trovo davanti al foglio bianco, cercando le parole, sentendo le emozioni, sfogliando ogni sorta di manuale o libro che mi aiutino a commentare quanto accaduto a Giulia Tramontano, la Tv è accesa e il Tg riporta ancora un femminicidio, quello di Pier Paola Romano.

Una sola domanda mi sorge: dove stiamo andando?

In questi giorni, anche per via del mio ruolo di psicologo responsabile del trattamento degli offender per l’associazione fermiconlemani, approfondivo lo studio di un testo e mi sono imbattuto in un capitolo dal titolo “Uomini che esercitano violenza sulle donne: una lettura alla luce della teoria dell’attaccamento”, e l’autore con competenza e senso realistico, riporta anche dati sociologici: da sempre, da quando è nata la società maschilista la violenza sulle donne, purtroppo aggiungerei io, è stata socialmente accettata e taciuta, ma che forse non arrivava mai a tanta crudeltà e violenza, per vari motivi; ma come l’autore anche io mi chiedo può questo giustificare uno stile aggressivo, violento, predominante nelle relazioni?

Oggi ci troviamo non solo davanti ad un femminicidio ma anche ad un figlicidio, sì perché Giulia era al settimo mese di gravidanza.

Dove stiamo andando?

Lascio ad altro spazio tutto quello che può riguardare la teoria dell’attaccamento (sarei troppo prolisso), e mi chiedo che fine ha fatto il Super-Io di freudiana memoria, dove sia finita la scala dei valori che governa la mente e l’agito di ogni persona; il narcisismo ci sta portando verso la soddisfazione esclusiva dei nostri bisogni a scapito della vita delle persone che ci circondano e che, in certi casi, sosteniamo di amare e, ancora di più, a scapito della vita di un nostro figlio.

Non c’è più tempo. Urge fare qualcosa che fermi questa mattanza di valori, questa mattanza di rispetto, la solitudine del narcisismo ci sta portando verso una disumanizzazione dell’Umano.

Da docente di una materia che mi permette di entrare in contatto con i miei alunni  senza l’ansia della fine del programma, ritengo che la scuola possa essere uno dei luoghi dove ancora si potrebbe insegnare l’umanizzazione, dove oltre alle tante materie assolutamente utili e indispensabili, si potrebbe scalfire il narcisismo maligno dilagante, ma per poter fare questo bisogna fare scelte concrete e audaci, forse politicamente poco produttive, ma umanamente molto utili. 

Tutto già detto forse, lo sgomento e il dolore irromperanno nuovamente alla prossima notizia che ascolteremo.

Ma ora lasciatemi fluire tutto il dolore per il piccolo Thiago, questo il nome del bambino che Giulia aveva in grembo:

Caro papà, quando ero nella pancia di mamma non ho mai avuto paura. Lì era bello; ad ogni passo che lei faceva mi sentivo cullato, il battito del suo cuore era una musica dolce che ascoltavo prima di addormentarmi. 

Poi, a volte, sentivo qualcosa che mi toccava un piedino, o il braccio: erano le tue mani papà. Potevo riconoscerle, perché a differenza di quelle delle mamma, si muovevano con un po’ di timore. Forse avevi paura di farmi male o di darmi fastidio. Invece a me piaceva. Mi sentivo felice. Quando hai iniziato a parlarmi, piano piano ho imparato a riconoscere anche la tua voce; che buffo eri quando mi cantavi quelle canzoncine, o quando mi raccontavi delle domeniche che sarebbero arrivate, dei giochi con la palla, della scuola, delle gite. Che ridere papà. Anche la mamma rideva, forse anche lei pensava che tu fossi buffo. 

Un giorno è successo qualcosa di strano; ho fatto una capriola e avevo tantissima voglia di nuotare…sentivo la mamma un po’ ridere e un po’ piangere. Poi ho riconosciuto la tua voce. Dicevi alla mamma che era bravissima, che stava facendo un buon lavoro. Dicevi che da lì a poco, io sarei stato tra le sue braccia e che doveva mettercela tutta. 

Quando finalmente sono nato, vi ho sentiti. Ho sentito la pelle della mamma e il sapore del suo latte. Ho sentito cadere sulla mia testa gocce di lacrime. Ma eccole li: le tue mani. Le ho riconosciute perché si muovevano con lo stesso timore di quando mi accarezzavi attraverso la pancia. E finalmente mi sono sentito al sicuro.

Da quel momento ti sei preso cura di me. Hai smesso di andare alle partite di calcetto, ora giochiamo insieme a bubusettete. Hai smesso di guardare i film di paura, ora insieme leggiamo tanti libri di fiabe. Hai smesso di andare a dormire tardi perché ora, quello che ti piace, è addormentarti abbracciato a me. Quando mi cambi il pannolino, sei sempre il solito papà buffo che ho sempre pensato! Le tue smorfie mi fanno ridere un sacco! 

Ora sono un po’ più grande. Sto crescendo papà, e non ho paura. So di potere scalare il divano, perché tu sei vicino a me. So che posso fare le corse, perché se cado un tuo bacio fa passare il dolore. So che posso combinare tutti i disastri del mondo, perché quando la mamma mi rimprovererà, tu sarai mio complice e dietro di lei mi farai l’occhiolino. 

Papà, promettimi una cosa: promettimi che anche quando ti arriverò alle spalle non smetterai di raccontarmi di mostri e pirati, non smetterai di fare capanne con sedie e coperte ma soprattutto continuerai a fare ridere la mamma. Grazie papà, per avermi regalato te stesso. 

Con tutto il bene del mondo, il tuo bambino.” – Maria Russomanno –

Ecco tutto quello che ti sei perso, Alessandro Impagnatiello. 

Prof. Michele Colasuonno

la lettera citata è tratta da: https://www.chizzocute.it/lettera-al-papa-da-un-neonato/

Omicidio Giulia Tramontano

“Ciò che c’è fuori è il riflesso di come siamo dentro”…

Le riflessioni della nostra socia fondatrice Carmela Milone, pedagogista e psicomotricista.

Purtroppo siamo vittime di un sistema distorto e che distorce il nostro modo di condurre la vita.

Di fronte ad avvenimenti come quello capitato alla povera Giulia, leggo la rabbia, la delusione per non avere certezze e sicurezza, specie da chi è preposto a questo compito.

Alla luce degli avvenimenti ci sarebbe da rassegnarsi ad un modo di procedere senza futuro, senza speranza. Questo mi ha fatto riflettere e cercando dentro sento di condividere il mio pensiero.

Sono entrata in associazione come socia fondatrice perché credo che io posso fare la mia parte per creare un mondo migliore, almeno nel mio quotidiano e credo che questo può espandersi e influenzare chi mi circonda. Parliamo troppo spesso di avvenimenti negativi, alimentiamo inconsapevolmente il negativo e non ce ne rendiamo conto.

Cerchiamo tutti la pace l’armonia, il bello ma quanto spazio e quanto tempo vi dedichiamo? Cominciando da noi stessi. Come parliamo a noi stessi? Come ci comportiamo con noi? Il mondo è il riflesso di ciò che noi siamo dentro.

Ci sono delle leggi universali che non possiamo prescindere: “Come è dentro così è fuori, come è sopra così è sotto…etc..”; quindi vediamo la guerra, la violenza, il malessere ma ci siamo chiesti quanto ci tutto ciò è dentro di noi?

Ci sono esperienze ed esperimenti che sono stati fatti, di cui non si parla, che dimostrano come cambiando la realtà personale l’ambiente intorno cambia.

Io sono qui in questo progetto perché credo che cambiando me stessa contribusco a cambiare la realtà esterna. Mettendo un seme di luce e occupandomi di farlo splendere sempre di più.
È un impegno, una fatica, avvolte ma non per questo voglio sottrarmi al mio scopo.
Sono sicura che questo si aggiunge ai tanti piccoli semi di luce che nel mondo, nell’universo brillano di già.
Abbiamo bisogno di fiducia, di pace, di amore e ciascuno può fare la differenza se non altro per onorare le vittime e far si che questi eventi non si ripetano.
Posso sembrare una illusa, ma credo fermamente che l’unione di intenti è molto potente. Per questo ci vogliono azioni che partano dal cuore.


Non vorrei dilungarmi ancora ma ho sentito di esprimere le mie emozioni e pensieri anche per tutte coloro che sono andate nell’oltre.. che ringrazio e benedico per il loro sacrificio.

Carmela Milone

SEI SEMPRE IN RITARDO? ECCO COME PUOI SENTIRTI IN ORDINE QUANDO HAI POCO TEMPO A DISPOSIZIONE

pillole d’immagine della nostra responsabile progetto “Benessere ed empowerment” Ottavia Ditroia

Noi donne e i nostri 1000 ruoli nella società!!!!

Siamo mamme, mogli, amanti, lavoratrici, tassiste, donne delle pulizie, insegnanti, psicologhe, dottoresse, farmaciste, cuoche e potrei continuare all’infinito, ma ci ricordiamo ogni tanto di essere DONNE?

Nel marasma dei nostri impegni quotidiani diurni e notturni, quando ci capita di dare spazio a noi come Donne; quando ci permettiamo una coccola tutta nostra, personale, intima?

Non so voi, ma io questo lusso me lo permetto almeno una volta alla settimana. Che si tratti del parrucchiere, dell’estetista, del caffè con le amiche o semplicemente della creazione dei miei outfit settimanali. Io mi rilasso con la testa ficcata nel mio guardaroba, che io adoro perché è il mio Paese delle Meraviglie, pieno com’è di vestiti che non vedo l’ora di abbinare e indossare.

Se anche per te ogni giorno è una lotta contro il tempo e non ti senti mai ordinata quando varchi la porta di casa, continua a leggere perché ti darò tanti consigli per essere carina e a posto anche quando hai poco tempo a disposizione.

Attenzione, però: molti di questi consigli presuppongono che tu dedichi almeno 1 giorno alla settimana tuffata nel tuo armadio, nel Tuo Mondo delle Meraviglie!!!!

Eccoli:

  1. CAPSULE WARDROBE: detto in parole semplici: circa 20/30 capi e accessori basici di ottima qualità con tonalità neutre che si abbinano tra di loro in maniera indifferenziata creando infiniti outfits. Ne abbiamo parlato tante volte, anche in articoli specifici qualche mese fa, ma è di fondamentale importanza avere capi di questo genere. Sono grandi classici, si abbinano TUTTI  facilmente tra di loro senza nemmeno pensarci e sono le fondamenta anche per creare abbinamenti con i capi più di tendenza o particolari che avete nel guardaroba. Il mio consiglio (è ciò che ho fatto anche io) è di creare una sezione specifica nell’armadio che varia di stagione in stagione oppure fuori dall’armadio tutti sistemati per esempio su di un bel appendiabiti in bella mostra in camera da letto, se avete spazio a disposizione. In questo modo, oltre alla evidente praticità, contribuirete a rendere più fashion la vostra camera da letto!
  2. LA DIVISA: vi capiterà ogni tanto di avere del tempo per creare un outfit, giusto? Allora sfruttatelo al massimo questo tempo. Come? Se vi accorgete che quel giorno vi piace proprio il modo in cui avete abbinato i vostri vestiti e vi piace lo schema che avete usato, fatelo diventare la vostra DIVISA. La mia, per esempio, è composta da blazer, top, jeans/pantalone, tacco, borsa strutturata. Così io mi piaccio, mi sento in ordine, si addice al mio stile di vita e posso variare questa divisa in infiniti modi e, per lo più, per ogni occasione d’uso. Allora, capite anche voi qual è la combinazione con cui vi sentite bellissime e replicatela tutte le volte che volete con capi diversi. Sarà un modo per non pensare all’abbinamento quando siete in ritardo perché avete già ben stampata in mente la vostra divisa;
  3. STIRARE GLI ABITI: sembra un particolare di poco conto, ma quante volte ci è capitato di essere in ritardo ma di non poter indossare la blusa perché non era stirata? Allora andiamo alla ricerca di qualche capo sostitutivo che magari non ci soddisfa o, peggio, indossiamo la blusa non stirata, tutta stropicciata, uscendo di casa con la sensazione di non essere in ordine. Questo inconveniente si può evitare semplicemente inserendo nell’armadio solo capi ben lavati e stirati. Non commettiamo l’errore di appendere un vestito non stirato accompagnato dalla frase “Quando mi serve lo stiro”, perché lo sappiamo che è molto difficile che questo accadrà;
  4. ROSSETTO BRILLANTE: certi giorni basta davvero poco per sentirci bellissime: un velo di crema colorata, mascara, blush e rossetto brillante. Noterete immediatamente la differenza tra il prima e il dopo: tutto l’outfit e soprattutto il vostro umore ne beneficerà. Usate tonalità fredde se il vostro sottotono è freddo e rosato, calde se invece è caldo e pescato, ma sempre brillante e mai opaco. Questa è un’operazione che porta via 3 minuti in totale. Non trascuratela!
  5. ARCHIVIO FOTOGRAFICO DEGLI OUTFITS: questo è davvero un suggerimento chiave che regalo a tutte le mie clienti perché è un salvavita in quei giorni in cui non abbiamo tempo per pensare. Tutte le volte che avete creato un outfit che vi piace da impazzire e con cui vi sentite bellissime, fotografatevi e conservate la foto in una cartella del vostro smartphone che avrete creato ad hoc. Man mano che prendete l’abitudine di farlo, creerete un archivio pieno di outfit bellissimi tra cui scegliere quando non avete tempo;
  6. PREPARARE GLI OUTFIT SETTIMANALI: vi ricordate il bell’appendiabiti del punto 1.? Se lo avete, non immaginate quanto può tornarvi utile adesso. Io, di solito, dedico circa 40 minuti la domenica pomeriggio dopo pranzo alla creazione dei miei outfits settimanali. Agenda alla mano, controllo i miei appuntamenti, il meteo e tutto quello che ho da fare e mi dedico del tempo abbinando i miei vestiti e i miei accessori. Ogni gruccia conterrà tutto il mio outfit per un giorno compresi complementi e accessori. Ne creo qualcuno in più per le emergenze. Se non avete a disposizione l’appendiabiti, si può creare anche uno spazio in armadio oppure si possono fare delle foto e salvarle nel telefono. Scegliete voi la modalità migliore, ma il concetto che vorrei farvi passare è che questa strategia è la vostra salvezza per una settimana intera. La mattina quando siete in ritardo non dovrete far altro che scegliere quale outfit vi piace di più tra quelli che avrete già creato. Magari all’inizio sembrerà difficoltoso, ma come tutte le cose, dopo un po’ diventa un automatismo e diventerete davvero delle professioniste!

Ottavia Ditroia

COME ELEVARE GLI OUTFIT BASICI: 4 SEMPLICI ED ECONOMICI TRUCCHETTI

Ce li svela la nostra esperta d’immagine e personal shopper Ottavia Ditroia

È fondamentale avere nell’armadio degli ottimi capi basici che formano una Capsule Wardrobe adatta ad ogni stagione.

Senza capi basici di ottima qualità e in tonalità  neutre, è molto difficile creare un outfit e spesso è questo uno dei motivi per i quali molte di noi non riescono a vestirsi al mattino pur avendo un armadio pieno di vestiti.

E’ anche vero che fare shopping di capi basici non è esattamente eccitante; è senz’altro più divertente comprare capi che rispondono alle ultime tendenze, particolari e meravigliosi, ma è proprio in questo momento che vi viene in soccorso una brava personal shopper, che sa esattamente dove comprare i pezzi giusti e soprattutto, come trasformare forse noiosi capi basici in outfit stratosferici e dall’effetto wow.

Oggi, infatti, parliamo proprio di questo: vi dimostrerò, per esempio, che anche una semplice camicia bianca in cotone potrebbe diventare il pezzo forte di un outfit se abbinata in maniera corretta.

Ecco come fare:

  1. ATTENZIONE ALLA VESTIBILITA’: un modo efficace e veloce per trasformare un capo basico in un outfit è senz’altro la vestibilità. Tante volte vi ho sottolineato l’importanza di acquistare facendo attenzione alla forma del corpo, perché da questo deriva l’effetto finale. Un blazer che ci calza a pennello, per esempio, assume già un aspetto migliore indossato rispetto ad uno troppo largo o troppo stretto o troppo corto o troppo lungo. Ciò accade per qualsiasi capo, che sembra immediatamente più scialbo se non vi veste come un guanto. Questo discorso non ha niente a che fare col prezzo d’acquisto: se un paio di jeans che costano € 10 vi stanno benissimo ed esaltano la vostra figura, sono sicuramente ciò che fa per voi;
  2. GIOCARE CON LE TEXTURE: semplicissimo ma davvero d’effetto ed economico. Non dovete far altro che creare un outfit composto da capi basici ma con tessuti diversi e il gioco è fatto! Provate ad immaginare che meraviglia un outfit composto per esempio da: pantalone/gonna in pelle, semplice camicia in seta e cappotto in lana. Come potete vedere, sono sì sempre capi basici, ma il mix di texture rende immediatamente tutto l’abbinamento molto più interessante, oltre che assolutamente chic, femminile e raffinato. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che con questo outfit rispondiamo anche ad uno dei trend di stagione preponderanti: la pelle. Più semplice ed economico di così!
  3. ACCESSORI:  mai sottostimare la fondamentale importanza che hanno gli accessori nella composizione di un outfit. Anche un semplice abbinamento tra jeans e t-shirt bianca si trasforma immediatamente in un outfit da diva se aggiungiamo una bella cintura che magari riprende le tonalità di un foulard/sciarpa e/o degli occhiali da sole, oppure una bella collana brillante che si abbina alle scarpe, o ancora un paio di orecchini che esaltano il nostro incarnato e che si abbinano al nostro accessorio per i capelli. Gli esempi sono molteplici, ma vi invito a giocare con i vostri accessori e vedrete che differenza: l’outfit noioso si trasforma in meraviglioso;
  4. INCORPORARE I COLORI E I METALLI: un semplice outfit basico dalle tonalità neutre risulterà molto più interessante e armonico se inseriamo un (massimo 2) elemento colorato o con paillettes o metallizzato. Per esempio: jeans flare neri e maglioncino in cachemire nero; se aggiungiamo un blazer color corallo o bluette o fucsia con cintura abbinata e scarpe metallizzate (o con profili metallici) sarà sicuramente molto più d’impatto e meno scontato; oppure un outfit composto da un pantalone nero con camicia classica bianca sarà più valorizzato da un cardigan con filo metallizzato o con applicazioni in paillettes e scarpe metallizzate (o con profili metallici).

Ottavia Ditroia