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I CAPI E GLI ACCESSORI SUI QUALI E’ NECESSARIO INVESTIRE

Dopo la pausa natalizia riprende la rubrica più fashion del web a cura della nostra responsabile progetto “Benessere ed Empowerment”, esperta di moda e tendenze Ottavia Ditroia.

Chi mi conosce da un po’ sa’ che sono la PALADINA DEL BUON SPENDERE perché penso con convinzione che non sia necessario spendere un capitale per essere eleganti o per avere nell’armadio capi di qualità. La cosa importante, quando si parla di shopping, è essere brave a trovare il capo o l’accessorio di buona qualità al giusto prezzo. 

Ma cosa si intende per GIUSTO PREZZO?

Una Personal Shopper esperta lo sa: conosce i brand che bilanciano in modo corretto prezzo e qualità.

Perciò è necessario affidarsi alle sue mani sia per acquisti importanti che non.

Però una Personal Shopper esperta sa’ anche che ci sono capi ed accessori sui quali vale la pena investire qualche soldino in più con l’obiettivo di usarli per i prossimi anni a venire in quanto sono super classici e senza tempo e perché la qualità di cui sono fatti giustifica il loro prezzo.

Ve li elenco qui di seguito:

SCARPE:  comprare un bellissimo paio di scarpe e per giunta di ottima qualità, ha un valore maggiore di quanto possiate immaginare. Un paio di scarpe, anche non necessariamente di alta moda, ma perfetto dal punto di vista della fattura e del materiale e comodo potrebbe cambiarvi la vita e desiderare di calzare solo quello. Guardate bene la confezione e leggete di quali materiali sono composte le scarpe che state acquistando; controllate che la forma sia adatta al vostro piede, che abbia un plantare a cuscinetto che vi aiuti negli urti e siate molto attente nella scelta del tacco che deve essere adatto all’uso che ne volete fare;

CINTURA: il valore e l’importanza di una bella cintura è enorme perché è il pezzo che arricchisce in un attimo anche il più semplice degli outfit. Il fatto, poi, che sia di pelle vi permette di goderne il più a lungo possibile. Si può indossare all’infinito in tutte le stagioni e in modi molto diversi: con jeans, pantaloni e gonne, sui cappotti e sui blazer, sui maglioni oversize, sugli abiti…..la lista è davvero infinita. Di qui la necessità di spendere un po’ di più;

INTIMO: forse molte donne non lo considerano importante, ma indossare un intimo di qualità è sempre sinonimo di vestibilità perfetta. Non c’è niente di peggio che vedere antiestetiche righe o rigonfiamenti nelle zone del seno o nelle parti basse del corpo causate da un intimo di pessima qualità o di una taglia sbagliata. Pensate a come in un minuto si vanifica tutto il lavoro che avete fatto per mettere insieme il vostro ricercatissimo outfit!!!

JEANS: quante volte vi capita di non poter indossare quel paio di jeans che vi piaceva tanto perché si è rovinato dopo soli pochi lavaggi? Il motivo è sempre lo stesso: non avevate acquistato un capo di qualità e vi siete fatte INGANNARE dal modello che vi ha fatto distrarre dal guardare l’etichetta. Siccome il jeans è un capo indispensabile nell’armadio di ogni donna di qualsiasi età, non pensate che sia il caso di acquistarne al massimo un paio ma di ottima qualità e del modello che si adatti alla forma del vostro corpo? Questo vi consentirà di indossarlo per molti anni senza che si slabbri o si scolorisca. Anche in questo caso, evitate il poliestere, controllate le cuciture e la vestibilità intorno alla zona bacino e gambe;

BLAZER: che dire? E’ il mio capo preferito in assoluto, per me è una vera ossessione, nel mio armadio ne ho di tutti i colori (della mia palette, ovviamente!!!!!!) ma se non ne siete così pazze come me, sappiate che almeno un paio sono necessari per un armadio che si rispetti (uno bianco e uno nero). E’ il capo che si indossa in tutte le stagioni e per ogni occasione d’uso davvero, quindi è indispensabile investire un po’ di più per questo capo. Optate per modelli super classici, di ottima qualità (guardate sempre le etichette) e vestibilità e non dimenticate di guardare anche i bottoni che fanno una grossa differenza.

Ottavia Ditroia

Quell’accorato appello del vicario di Cristo al rispetto delle donne.

Il Prof. Michele Colasuonno, nostro responsabile dell’area psicologica, psicologo e teologo, riflette sul senso profondo del pesante monito del Sommo Pontefice contro la dilagante spirale di violenza ai danni delle donne.

Ogni società ha bisogno di accogliere il dono della donna, di ogni donna: di rispettarla, custodirla, valorizzarla, sapendo che chi ferisce una sola donna profana Dio, nato da donna.

Come teologo ancor prima che come psicologo, e socio dell’associazione FERMICONLEMANI, le parole pronunciate da papa Francesco, nell’omelia del 1 gennaio 2024, solennità della madre di Dio,  hanno lasciato un segno e un sapore amaro nel costatare che ancora oggi, nel 2024, in una società che si professa civilizzata, ci sia ancora bisogno di pronunciarli da parte di un papa (e da parte del presidente della repubblica Italiana, visto l’intervento anche da parte di Mattarella sullo stesso tema).

Ma le parole e parole del genere, sono semi, e come ogni seme ha bisogno di tempo per poter germogliare, in queste piccole considerazioni.

Sono due i punti, a mio avviso cruciali, dell’omelia, sulle quali vorrei porre l’attenzione, il primo:

“… Nella pienezza del tempo il Padre mandò il suo Figlio nato da donna; ma il testo di San Paolo aggiunge un secondo invio: «Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”» (Gal 4,6). E anche nell’invio dello Spirito la Madre è protagonista: lo Spirito Santo comincia a posarsi su di lei nell’Annunciazione (cfr Lc 1,35), poi agli inizi della Chiesa discende sugli Apostoli riuniti in preghiera «con Maria, la Madre» (At 1,14). Così l’accoglienza di Maria ci ha portato i doni più grandi: lei ha «reso nostro fratello il Signore della maestà» (Tommaso da Celano, Vita seconda, CL, 198: FF 786) e ha permesso allo Spirito di gridare nei nostri cuori: “Abbà, Papà!”. La maternità di Maria è la via per incontrare la tenerezza paterna di Dio, la via più vicina, più diretta, più facile. Questo è lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza. La Madre, infatti, ci conduce all’inizio e al cuore della fede, che non è una teoria o un impegno, ma un dono immenso, che ci fa figli amati, dimore dell’amore del Padre. Perciò accogliere nella propria vita la Madre non è una scelta di devozione, ma è un’esigenza di fede: «Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani» (S. Paolo VI, Omelia a Cagliari, 24 aprile 1970), cioè figli di Maria.”

Sè è vero che Grazie a Maria ci è stato permesso di essere Figli di Dio, e chiamare Dio Padre, ed essere Fratelli del Dio Figlio Gesù, è vero che ogni uomo deve ringraziare incessantemente una donna per la vita, è vero che per la generazione della vita abbiamo bisogno di un uomo e di una donna, ma la donna mamma permette il miracolo della vita, da due cellule, curate, custodite, coccolate, abbiamo la vita di ogni persona, abbiamo il miracolo davanti al quale lo stesso Creatore esclama “È cosa molto buona, è cosa meravigliosa” Gen. 1,31. È la donna mamma che per prima ci avvolge nelle sue braccia amorose, e che ci dona all’uomo padre perché il miracolo della crescita possa continuare come sottolinea Jacques Lacan.

 Secondo:

“Di Maria la Chiesa ha bisogno per riscoprire il proprio volto femminile: per assomigliare maggiormente a lei che, donna, Vergine e Madre, ne rappresenta il modello e la figura perfetta (cfr Lumen gentium, 63); per fare spazio alle donne ed essere generativa attraverso una pastorale fatta di cura e di sollecitudine, di pazienza e di coraggio materno. Ma anche il mondo ha bisogno di guardare alle madri e alle donne per trovare la pace, per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio, e tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono. E ogni società ha bisogno di accogliere il dono della donna, di ogni donna: di rispettarla, custodirla, valorizzarla, sapendo che chi ferisce una sola donna profana Dio, nato da donna.”

Trovo poetiche e profetiche queste parole, urgenti come ogni respiro, dolci come il miele ma taglienti come una lama, sì abbiamo bisogno di riscoprire in ognuno di noi il volto femminile, quel femminile che più e prima di ogni altro femminile può spaventare in un mondo dove vince il più forte e mette fuori con le unghie e con i denti la forza e la violenza, più che l’accoglienza e la pazienza. William Sloane Coffin scrive:  “La donna che più deve essere liberata è la donna che vive in ogni uomo”. 

Jung definisce l’animus come il lato maschile di una donna, e l’anima come il lato femminile di un uomo proiettati inconsciamente sulle persone dell’altro sesso, passaggio essenziale per riconoscere e conoscersi il proprio e l’altrui valore, in fondo la prima vittima del carnefice spessissimo è il carnefice stesso con le sue paure e le proprie zone d’ombra.

Concludo con un passo del Talmud che ben sintetizza quanto detto fin ora, e amplia all’infinito del respiro della Sapienza:

“La donna è uscita dalla costola dell’uomo,
non dai piedi perchè dovesse essere calpestata (sottomessa),
né dalla testa per essere superiore (per dominarlo),
ma dal fianco per essere uguale (al suo fianco).
un po’ più in basso del braccio per essere protetta
e dal lato del cuore per essere amata.”

Michele Colasuonno

COSA DOVREBBERO INDOSSARE  LE DONNE “TUTTE CURVE” PER VALORIZZARSI

Le forme non sono un limite per chi vuole essere fashion e vestire con gusto. La prova in questo vademecum della nostra responsabile progetto “Benessere ed Empowerment”, esperta di moda e personal shopper Ottavia Ditroia.

La bellezza e lo stile non riguardano affatto la TAGLIA. La bellezza di una donna, lo abbiamo detto tante volte, è un complesso insieme di fattori fisici e non che la rendono unica. Ogni donna è bella in modo diverso anche con i suoi “punti critici “.

Quindi la TAGLIA non deve condizionare in alcun modo la scelta dell’outfit.

Ciò che dovrebbe fare invece una donna è IMPARARE A VALORIZZARSI, perché è l’unico modo per apprezzarsi, volersi bene e trasformare i difetti in punti di forza smettendola di piangersi addosso.

Ecco perciò un elenco di capi che una donna con le curve dovrebbe provare per sentirsi subito più bella:

VESTITO A PORTAFOGLIO: è il vestito comodo per eccellenza perché non fascia, rimane morbido sui fianchi, si può regolare a proprio piacimento e regala soprattutto alla donna con un seno generoso una scollatura che scopre in modo chic; consiglio solo di evitare il jersey e la maglina perché segnano molto;

CARDIGAN: è un valido alleato se si vogliono indossare gonne tubino o pantaloni/jeans skinny e non si vogliono mettere in evidenza fianchi o lato B perché allunga otticamente la figura soprattutto se lasciato aperto;

TAILLEUR: il tailleur giacca e pantaloni sono fenomenali per segnare il punto vita e slanciare. Da indossare sia in ufficio che per occasioni più formali devono essere scelti in modo accurato. La lunghezza della giacca deve coprire il lato B e mai tagliarlo; deve avere dei tagli che seguono la figura soprattutto sul punto vita; il pantalone non deve mai fasciare la gamba ma deve rimanere morbido; meglio scegliere il pantalone palazzo;

CINTURA IN VITA: segnare il punto vita anche quando questo non lo è particolarmente è la chiave del successo di ogni outfit; usate la cintura non solo su gonne e pantaloni, ma anche su camicie, cardigan, blazer e perfino cappotti;

GONNA PLISSE’: è utile perché si appoggia sempre delicatamente sui fianchi senza mai segnarli come farebbe per esempio una gonna tubino. Per un effetto WOW, abbinatela ad una semplicissima camicia bianca e cintura in vita;

MAXI DRESS; sono morbidi, fluttuanti e, se non si amano particolarmente i propri polpacci o la proprie caviglie, sono ciò che fa per voi. Ci sono modelli sia estivi che invernali: in estate si indossano con qualsiasi tacco o con le sneackers, in inverno con stivali col tacco o senza. Nella stagione fredda, poi, sono il capo perfetto per stratificare;

PANTALONI PALAZZO: lo abbiamo già detto tante volte che donano davvero a tutte e regalano charme ed eleganza anche al più semplice degli outfit; poi non si attaccano alle gambe regalando infinita libertà di movimento. Un consiglio in più: sceglieteli a tinta unita perché le stampe, soprattutto quelle molto vistose, aumentano otticamente i volumi;

TOP O CAMICIE DAL TAGLIO PEPLUM: è un altro modo per segnare il punto vita e per nascondere la pancetta. Da indossare su gonne tubino o pantaloni sigaretta;

JUMPSUIT: chic senza sforzi, risolve tutti i dubbi di abbinamento. Se scelta in base alla forma del proprio corpo, regala centimetri SOLO in altezza. Anche in questo caso, eviterei stampe molto vistose e ne sceglierei una con cintura in vita.

Ottavia Ditroia

Giulia è morta. Uccisa di chi diceva di amrla.

Ieri si sarebbe laureata e invece giaceva sul fondo di un lago morta ammazzata.

Giulia Cecchettin è morta. È stato trovato ieri il corpo della 22enne sparita da una settimana insieme all’ex fidanzato, Filippo Turetta, ricercato e indagato per omicidio. Il cadavere della ragazza era nei pressi del lago di Barcis, in provincia di Pordenone, con addosso i vestiti che aveva al momento della scomparsa una settimana fa. 

Secondo la ricostruzione fatta dalla polizia, Filippo l’ha abbandonata al bordo della strada e l’ha lasciata rotolare lungo un dirupo per una cinquantina di metri, fino a quando il corpo di Giulia si è fermato in un canalone. 

Su Turetta pende un mandato d’arresto europeo firmato dalla Procura di Venezia. Ora si cerca l’auto, che è stata avvistata l’ultima volta a Linz (Austria), in Tirolo, domenica – e non mercoledì come era stato precedentemente detto. 

Giulia è la 105esima donna ad essere uccisa nel 2023. Filippo, il suo assassino, è stato definito da più parti “il classico bravo ragazzo”.

Un fenomeno complesso e multidimensionale che va sotto il nome di “teen dating violence” (TDV), una sigla per indicare fenomeni di violenza e/o molestia nelle relazioni sentimentali tra adolescenti si sta diffondendo ampiamente anche in Italia. La TDV comprende qualsiasi forma di abuso, sia fisico sia emotivo o sessuale, che si verifica in una relazione romantica durante l’adolescenza.

Studi recenti hanno esplorato la TDV applicando a una ricerca condotta su adolescenti il concetto di sessismo ambivalente, concetto già indagato per il tema più generale della violenza di genere tra gli adulti. Che cos’è lo diciamo parlando delle due forme principali – ecco perché si chiama ambivalente – con cui si manifesta e viene indagato: il sessismo ostile e il sessismo benevolo.

Il sessismo ostile è caratterizzato da atteggiamenti negativi e apertamente aggressivi nei confronti delle donne. Include le credenze che le donne siano inferiori agli uomini, che abbiano intenzioni manipolatrici o che siano in qualche modo meno capaci. Questo tipo di sessismo è più diretto e facilmente riconoscibile come discriminatorio. Il sessismo benevolo è più subdolo e mascherato da atteggiamenti positivi, si basa su idee stereotipate di protezione, idealizzazione e romantizzazione delle donne. Questa forma può sembrare lusinghiera in superficie, ma in realtà è persino più grave di quello ostile, in quanto di fatto perpetua la dipendenza e l’inferiorità delle donne, posizionandole in ruoli tradizionali e limitativi, e agisce potentemente sulle ragazze stesse.

Gli studi hanno mostrato come entrambe le forme di sessismo hanno un impatto significativo sul comportamento e le percezioni degli adolescenti. In particolare: gli adolescenti maschi possono essere maggiormente influenzati dal sessismo ostile. Questo può portare a giustificare comportamenti di controllo o aggressivi nei confronti delle ragazze, vedendo le relazioni attraverso una lente di potere e dominio. Il sessismo ostile può anche condurre alla normalizzazione della violenza e a un’errata interpretazione del consenso nelle relazioni romantiche. Dall’altro lato, per le ragazze, il sessismo benevolo può essere più insidioso. Esso può influenzare la loro autopercezione e il modo in cui accettano il trattamento da parte dei partner maschili. Le ragazze possono arrivare a giustificare comportamenti controllanti o limitativi come segni di “cura” o “attenzione”, accettando e normalizzando così dinamiche relazionali sbilanciate.

Capite bene come la conoscenza del fenomeno è cruciale per qualunque tipo di intervento che voglia affrontare la violenza di genere tra gli adolescenti. Ciò implica un lavoro specifico nell’educare i giovani all’uguaglianza di genere, al rispetto reciproco e alla costruzione di relazioni basate su principi di consenso e parità.

Da anni la nostra associazione sperimenta sul campo l’efficacia di interventi educativi mirati a contrastare il sessismo tra gli adolescenti, sperimentando come i programmi scolastici e specifiche metodologie educative possano svolgere un ruolo chiave nella prevenzione e nel contrasto della violenza e degli stereotipi di genere.

Molti adolescenti sono regolarmente esposti a varie forme di violenza di genere, sia fisica che virtuale. Tuttavia, uno degli aspetti più preoccupanti è la difficoltà che questi incontrano nel riconoscere la violenza di genere come tale, in un’età in cui le relazioni interpersonali iniziano a diventare più complesse. Inoltre, gli stereotipi di genere radicati e le norme sociali possono offuscare la percezione di ciò che è accettabile e ciò che non lo è in una relazione, conducendo a una normalizzazione di comportamenti che, in realtà, sono abusivi o discriminatori.

È dunque essenziale che le scuole, le famiglie e le comunità lavorino insieme per fornire ai giovani le competenze e le conoscenze necessarie per identificare e contrastare la violenza di genere. Questo implica non solo l’educazione sui diversi tipi di violenza e sui loro segnali di allarme, ma anche la promozione di un dialogo aperto e onesto sul rispetto reciproco, sul consenso e sulle relazioni sane, sempre che le scuole, le famiglie e le comunità siano preparate a farlo; e qui entra in campo la necessità di formare e informare gli adulti di riferimento, soprattutto gli educatori, sui temi di cui stiamo trattando.

Fermiconlemani continuerà instancabilmente a battersi affinché vi sia un’attenzione più profonda e strutturale su questi aspetti, che raccolga le indicazioni normative europee, attraverso azioni educative e di prevenzione che vadano oltre la stupida e insostenibile vulgata “no gender o si gender” che ormai è una caricatura a uso di una popolazione per lo più disinformata, compresi gli operatori del settore.

Lo dobbiamo a Giulia Cecchettin, che ieri si sarebbe laureata e invece giaceva nel fondo di un lago morta ammazzata, lo dobbiamo a tutte le donne oggetto di violenza, lo dobbiamo affinché non accada più -e non è un’utopia-, ma lo dobbiamo anche ai Filippo Turretta -che sarà condannato e sconterà la sua pena-, affinché ve ne siano sempre meno.

Le cose possono, potevano e potrebbero andare diversamente se tutti assieme decidessimo di costruire una società differente.

Possiamo anche credere che Turretta sia un tipo tranquillo e non violento, come sostengono i suoi genitori, ma non c’entra nulla con quel che è accaduto, perché la violenza di genere investe meccanismi profondi, meccanismi di mascolinità dannosa introiettata. Filippo le voleva bene? In modo malato sì. La diciamo meglio: in modo stereotipato, un modo apparentemente normale ma che normale non è, perché trattasi di mascolinità dannosa; e a leggere i dati, ahimè, comune a troppi adolescenti e adulti. Trattasi di quella coltura-cultura che è la base della cosiddetta piramide della violenza ed è esattamente quella che dobbiamo smontare e polverizzare.

Prof. Pierfrancesco Impedovo, PhD

Cambiare le narrazioni per cambiare il mondo

Il delicato ruolo dei media nel racconto della violenza

É stato un raptus dopo l’ennesimo litigio”… “l’ho uccisa per gelosia”… “lui lavorava, lei stava dalla mattina alla sera al telefonino”…

Capita spesso di leggere o ascoltare nei media frasi e titoli come quelli succitati. “Un assassino – racconta l’avvocata Tiziana Cecere presidentessa dell’associazione antiviolenza Fermiconlemani, in un noto caso di cronaca di cui mi sono occupata, quello del brutale assassinio della giovanissima Noemi Durini, veniva chiamato ‘fidanzatino’ su tutti i giornali. Le vittime di violenza spesso vengono violentate una seconda volta”.

Con queste parole tonanti l’avvocata ci spiega il fenomeno della vittimizzazione secondaria delle donne. Cioè, le conseguenze dei titoli o racconti sbagliati: i media, alla stregua di tribunali, forze di polizia, assistenti sociali, possono rendere di nuovo vittima la donna, sbagliando terminologia, angolo di visuale, titolo, fotografia, associazioni o contestualizzazione.  

L’errore più comune è guardare al caso ancora troppo dal punto di vista di lui, citando giustificazioni che diventano moventi. E’ invece auspicabile nei casi di violenza adottare il punto di vista della vittima, in modo da ridarle la dignità e l’umanità che, in una cronaca quasi sempre morbosamente centrata sulla personalità dell’omicida, sono spesso perdute. Si parla ancora di raptus nei femminicidi e si cerca l’empatia col carnefice.Purtroppo da inizio anno si contano oltre 10 femminicidi al ritmo di uno ogni 3-5 giorni. In molti casi si sente spesso parlare di “raptus di follia” senta tenere in considerazione che a livello scientifico il raptus è riconosciuto solo nel 5% dei casi di femminicidio, nella maggioranza dei casi il delitto è figlio di una cultura patriarcale ben radicata. A volte la narrazione segue  lo schema secondo il quale  il carnefice era buono, poi arriva il fulmine a ciel sereno e lui ammazza la donna.  In altre circostanze  la ricostruzione della violenza spinge all’empatia verso quel pover’uomo che una donna egoista ha deciso di abbandonare. La vittima viene raccontata come una donna che si separa, toglie i figli al marito, i soldi, la casa. Il punto di vista, insomma, è quello dell’assassino.Il problema è culturale, affonda le radici in quella società patriarcale che è il terreno fertile della violenza. La soluzione si trova in un lungo lavoro di formazione: formazione a tutti i livelli e gradi; a volte, anche professionisti avveduti cascano nell’errore di condividere, senza usare filtri, stereotipi che provengono dal racconto di polizia, carabinieri, magistrati o altre categorie.Per tutte queste ragioni la chiave sta sempre nella formazione di tutte le categorie professionali che vengono a contatto con le vittime. Ed in questo senso la mia associazione, nell’ambito di un nuovo ed ambizioso progetto che vedrà schierate professionalità di altissima specializzazione di cui disponiamo, a breve offrirà percorsi formativi specifici per tutte le categorie coinvolte nel delicato alveo della prevenzione, del supporto ma anche della cronaca delle fenomenologie devianti.La violenza contro le donne, i bambini ed altre vittime vulnerabili pone questioni sociali, sanitarie e giuridiche che vanno affrontate da operatori esperti e qualificati. Il saper riconoscere, ascoltare, proteggere e curare le vittime di violenze richiede, infatti, una preparazione professionale specifica, al passo con le evoluzioni sociologiche del fenomeno e con gli strumenti di contrasto e di tutela che ne conseguono. È anche necessario che gli operatori possano sviluppare un know how attraverso il quale concorrere alle strategie di prevenzione primaria della violenza (e anche il racconto mediatico concorre a ciò), divenendo attori protagonisti della gestione complessiva del fenomeno. Un simile approccio richiede quindi di superare valutazioni e soluzioni semplicistiche che rischiano di adombrare la complessità del fenomeno e di suggerirne rimedi inadatti”.

Il team di Fermiconlemani

LEZIONI DI STILE: E’ TEMPO DI SNEAKERS. COME INDOSSARLE IN OGNI OCCASIONE.

La nostra Ottavia Ditroia, responsabile progetto “Benessere ed Empowermwnt”, esperta d’immagine e personal shopper ci apre uno squarcio sul mondo delle tanto amate sneakers.

C’è chi non vedeva l’ora di indossarle nuovamente e chi, invece, non ha mai smesso di farlo.

C’è chi non le ama particolarmente e chi sì e vorrebbe indossarle in ogni occasione e non sa come abbinarle nel modo corretto.

C’è chi pensa che siano appropriate solo per andare in palestra o comunque per occasioni assolutamente informali e chi, al contrario, ama indossarle con abbinamenti inaspettati.

Per tutte le sneakers lovers e non, quanto leggerete qui di seguito vi catapulterà nel mondo delle calzature comode, è vero, ma senza mai rinunciare al glamour!

Ci sono, infatti, sneakers e sneakers, perchè sembrano tutte uguali ma non lo sono affatto.

Sul mercato ce n’è un’infinita varietà ed ogni modello può essere abbinato in modo differente, anche per l’ufficio, per esempio.

Vediamo quali sono i modelli più nuovi e quali outfit possiamo creare.

SNEAKER ALTE:  solitamente nere con para in gomma bianca, a volte con il velcro nella parte superiore e l’inconfondibile marchio rotondo sul lato che indossavamo per la scuola negli anni ’80 e ’90. Sono le classiche Converse All Star che di recente abbiamo visto ai piedi di tutte le influencers del mondo. Con queste sneakers possiamo creare outfit casual-chic di stile se le abbiniamo ai nostri maxi dress per un’uscita con le amiche, oppure ad un paio di mom jeans, t-shirt grafica e blazer  per lo shopping, il cinema, ecc.. Quando le temperature saranno più fresche al posto del blazer potremmo indossare anche un trench e al posto dei mom jeans, un paio di pantaloni in eco pelle o una maxi gonna;

SNEAKER DA TENNIS: come quelle vegane di Veja, brand francese che hanno ammaliato anche Meghan Markle. Sono le sneakers che potrete usare per occasioni leggermente meno informali come l’ufficio, per esempio. Sono perfette con i tailleur pantalone oppure con blazer, camicia/blusa e jeans con gamba dritta. Sono le calzature ideali per maxi gonne, bermuda o gonnelline al ginocchio e chiodo per passare dall’ufficio all’aperitivo;

SNEKER SAINT LAURENT: per intenderci, quella ricolma di stelline dorate o argentate. E’ in pelle con suola in gomma, piuttosto sottile ed estremamente comoda. E’ il classico modello super versatile che può essere indossato in moltissime occasioni d’uso, da mattina a sera, h24 con gonne lunghe, pantaloni dal taglio maschile, jeans, bermuda, gonne midi al ginocchio, ecc..

SNEAKER NEW BALANCE: super tecnica, con suola in gomma ondulata, perfetta per lunghe passeggiate anche sotto la pioggia perché è impermeabile. Da indossare sia con abbigliamento tecnico per la palestra che anche con jeans cropped e blazer per aggiungere un tocco di stile ad una sportiva per eccellenza;

SNEKER GOLDEN GOOSE: super di tendenza già dallo scorso autunno, la loro popolarità non accenna ad arrestarsi, anzi cresce ogni giorno di più. Fanno parte di una fascia di prezzo piuttosto alta e c’è chi le ama e chi le ritiene decisamente poco comode soprattutto in considerazione del prezzo. Dal punto di vista dello stile, però, sono impareggiabili e super chic. Io le vedo benissimo in ogni occasione in cui vogliamo camminare su una scarpa bassa ma con stile, quindi perfetta con tailleur pantalone e pantaloni sartoriali, ma anche gonne lunghe e jeans con gamba dritta.

Ottavia Ditroia

Quanti like valiamo? La legge dell’apparenza sui social

A cura del nostro socio fondatore Dott. Marco Magliozzi, psicologo-psicoterapeuta, esperto in criminologia.

Secondo recentissimi studi, pubblicati da Agcom e Audiweb, ognuno di noi passa in media su internet ben 6 ore al giorno (il 25% della propria giornata).

Nello specifico, due ore su sei sono dedicate all’utilizzo dei social network, come Facebook, Instagram, TikTok.

La matematica vuole quindi che il 12,5% della nostra vita sia virtuale, un tempo enorme dedicato esclusivamente a costruire un’immagine di sé, un alter ego, molto spesso, lontano dalla realtà e da chi siamo veramente.

La legge dell’apparenza

Volente o nolente, il mondo online, e nello specifico i social, hanno alimentato la legge dell’apparenza: le persone tendono a voler apparire migliori (o addirittura diverse) da come sono nella realtà.

Molti conoscono la serie televisiva Black Mirror, nella quale ogni puntata è ambientata in un futuro alternativo e distopico.

Nella puntata dal titolo “Caduta libera”, assistiamo a un mondo nel quale vige la legge della reputazione social: più una persona è popolare e ottiene like, più vantaggi e benefici avrà a livello sociale, come la possibilità di vivere in quartieri altolocati, acquistare auto di lusso, cenare in ristoranti stellati.

Una società, quindi, totalmente ossessionata dal giudizio esterno e nella quale gli altri hanno pieno potere sulle vite di altre persone. Con un solo like posso creare o distruggere la felicità del prossimo.

Un mondo nel quale vige la legge dell’apparenza, del finto complimento e dell’approvazione fine a sé stessa. Essere spontanei diventa un pericolo ed è quindi molto meglio fingere di essere qualcun altro, indossando una maschera.

Non è forse quello che, talvolta, accade nella nostra società attuale?

I social odierni, infatti, strumentalizzano la fidelizzazione dell’utente attraverso la gratificazione che passa attraverso l’uso dei like.

Questo sistema rafforza, proprio a livello biochimico cerebrale, il comportamento della persona: pubblicare foto e video, ottenendo in cambio dei like, diventa quindi un modo per accrescere la propria idea di sé stessi e la propria autostima, creando nel tempo una vera e propria dipendenza psico-fisiologica. 

L’altro lato della medaglia è, purtroppo, che tutto ciò avviene solo virtualmente, in un mondo inesistente che potrebbe crollare da un momento all’altro.

La selfie dismorfia

Non solo like, ma anche selfie. I social sono il regno dei selfie, le foto scattate di sé stessi in primo piano, che simboleggiano la “perfezione” del momento, nascondendo difetti ed esaltando (o addirittura trasformando) i nostri pregi.

Gli esperti hanno però notato anche dei pericoli: si parla in questo caso di selfie dismorfia, ovvero una vera e propria ossessione per il selfie, che DEVE essere obbligatoriamente perfetto, onde evitare giudizi esterni o qualsivoglia critica.

La foto scattata diviene un biglietto da visita che deve essere inattaccabile e fonte di attrazione.

Ecco che, quindi, la spasmodica attenzione verso la perfezione potrebbe dare vita a un susseguirsi di comportamenti che, talvolta, si avvicinano al bizzarro:

  • ripetere una foto anche decine di volte, senza mai essere soddisfatti del risultato;
  • lamentarsi dell’amico/partner che scatta la foto perché secondo noi non è bravo/capace;
  • lamentarsi dei propri difetti che, sempre secondo noi, la foto mette in risalto;
  • focalizzarsi su alcuni difetti specifici, ad esempio: “ma che nasone che ho”, “no, questa foto no! Si vede che ho la pancia!”, “oddio che brutta foto, si vedono i fianchi grossi”.
  • preoccuparsi di quello che potrebbero pensare gli altri non appena guarderanno la foto pubblicata;
  • usare filtri che modificano, fino a rendere innaturale la foto, come ad esempio ringiovanire la pelle, ritoccare colore/luminosità ecc., cambiare il colore degli occhi e così via.

Non solo: la reiterazione di questo comportamento ossessivo rischia anche di trasformare, in negativo, la propria idea di sé stessi, generando una percezione falsata del proprio corpo, divenendo sempre più insofferenti e ipersensibili al giudizio esterno, diminuendo l’autostima e divenendo dipendenti dai complimenti degli altri. 

L’importanza della prevenzione e dell’educazione

L’adolescenza, ovvero il periodo della vita nel quale si entra a piè pari nel mondo social, è il momento giusto per poter fare prevenzione, sensibilizzando e informando i ragazzi sull’uso corretto della tecnologia.

Il messaggio importantissimo da inviare riguarda l’attenzione verso il mondo reale, sottolineando il concetto che i social sono soltanto una finestra virtuale, che non rispecchia assolutamente ciò che siamo veramente.

Tutte le critiche (o i complimenti) ricevuti online andrebbero sempre ridimensionati.

Troppe volte, ahimè, abbiamo assistito a tragedie, come ad esempio suicidi, dovuti all’impossibilità di sopportare la vergogna del giudizio social.

In ragazzi nei quali l’autostima è alta e il senso di sé non intaccato dal mondo online, questo non sarebbe accaduto.

L’associazione Fermconlemani ha, tra i suoi obiettivi, anche quello di guidare le nuove generazioni verso un sano utilizzo dei social network, facendo prevenzione non solo nelle scuole ma anche nelle famiglie.
Tanti genitori, purtroppo, danno il cattivo esempio, essendo loro stessi i primi a fruire dei social in maniera errata o scattando selfie in modo maniacale.
Per ritrovare l’equilibrio interiore e la consapevolezza di sé, come esseri umani, è quindi necessario comprendere come internet sia solo essenzialmente uno strumento tecnologico, nulla più.
La vita vera, reale, scorre ogni giorno lontano dagli smartphone e dai computer. Evitiamo di perderla e godiamoci ogni secondo.

Dott. Marco Magliozzi

Ennesima aggressione ai danni di una giovane donna nel barese: il difficile rapporto fra prevenzione e repressione.

La presidentessa Tiziana Cecere e il vicepresidente Pierfrancesco Impedovo si soffermano sulla fallimentare strategia di contrasto alla violenza di genere e sul ruolo strategico della poco praticata prevenzione.

Questa mattina, 2 novembre,  si è consumata l’ennesima aggressione ai danni di una donna  a Monopoli, nel Barese. Poco dopo le 5, infatti, una giovane donna poco più che trentenne è  stata colta di sorpresa dall’ex fidanzato mentre stava uscendo di casa per andare al lavoro. L’uomo, un bracciante agricolo coetaneo della donna, l’ha aspettata fuori di casa per parlare. Pare che tra i due ci sia stata una discussione, poi l’aggressione. L’uomo ha impugnato un coltello e colpito l’ex con almeno 30 coltellate.

In Italia si conta, praticamente, un femmicidio ogni tre giorni, mentre non si riescono a contare gli episodi violenti a danno delle donne e non è solo questione di “ingente quantità”. Ossessione, possesso, prevaricazione, vendetta.

Bisognerebbe concentrare l’indagine criminologica proprio sui motivi, perchè il femmicidio non è solo l’uccisione di una donna in quanto donna, è qualcosa di diverso, più profondo, più camaleontico, più perverso e più problematico.

Quanta razionalità e calcolabilità vi è in queste tipologie di crimini e quanta, invece, irrazionalità e incontrollabilità vi si cela? 

Questa potrebbe essere una buona domanda per indagare l’efficacia preventiva della pena in relazione a tali crimini, dato che l’unica risposta che le istituzioni offrono alla risoluzione del problema è appunto quella sanzionatoria.

Con il termine femmicidio si suole indicare l’uccisione di una donna in quanto donna. Tale definizione venne coniata dalla criminologa Diana H. Russel per indicare una species del fenomeno socio-culturale largamente diffuso e che ha antiche origini, della violenza perpetrata contro il genere femminile il c.d. femminicidio. 

La piaga della violenza sulle donne non ha destato particolari cambiamenti nel corso del tempo, esiste dall’età arcaica e persiste in età moderna (si pensi al fenomeno storico-giuridico del patriarcato dal quale derivava il diritto per il marito o per il padre di correggere, anche e soprattutto con la violenza, la propria moglie o la propria figlia o all’istituto del matrimonio riparatore ex art. 544 c.p. con il quale si cancellava l’onore della famiglia violato consegnando la propria figlia o la propria sorella in moglie al suo aguzzino).

È mutato, invece, il grado di conoscenza del fenomeno, complice specialmente l’attenzione mediatica. Certamente esiste una stretta correlazione tra violenza di genere e situazioni relazionali (l’esito delle indagini OMS e della Convenzione di Istanbul convergono per lo stesso risultato: gli autori delle violenze più gravi sono prevalentemente i partner attuali o gli ex partner 62,7%) e nel caso specifico dei femmicidi, il grado di tale correlazione aumenta vertiginosamente (il 73,2% degli omicidi di donne sono compiuti in ambito familiare).

Tuttavia, nell’ottica di un’analisi compiuta del fenomeno in chiave culturale, sociale e criminale non ci si può fermare a tale correlazione, bensì ci si deve calare nel dinamismo dei ruoli sociali e studiarne il funzionamento. 

Non si uccide solo una donna in quanto tale, si uccide una donna in quanto madre, sorella, figlia, fidanzata, ex fidanzata, moglie, ex moglie.

Ecco, spostare il focus dell’indagine dal genere ai ruoli sociali assunti dalle donne, in contrapposizione ai ruoli assunti dagli uomini, consente di indagare il fenomeno dalla prospettiva relazionale specifica e in tal modo consente di avere una visione più centrata sui meccanismi relazionali dai quali emergono i conflitti e dai quali dipendono le reazioni violente

Infatti, raramente i femmicidi avvengono come episodi singoli, la maggior parte delle volte rappresentano il culmine della violenza innescatesi nelle dinamiche di cui sopra. Proprio la progressione della violenza è un fattore che può essere sfruttato in ottica preventiva perchè i femmicidi si possono prevenire ma, solo se si agisce in tempo utile e con gli strumenti adeguati a disinnescare l’escalation criminogena. Per raggiungere questo obbiettivo, è evidente che non basta agire sul piano sanzionatorio, prova ne sono i dati statistici negativi a fronte degli importanti interventi normativi susseguitesi nel tempo.

Infatti, tali tipi di interventi sono calibrati per agire in un tempo non funzionale allo scopo che ci si prefigge di raggiungere: la prevenzione non in senso generico ma, la prevenzione di questa particolare classe di reati.

Mai come nel caso del fenomeno della violenza di genere urge agire in maniera, non solo preventiva ma, soprattutto in maniera tempestiva proprio perchè si creano dei meccanismi di evitamento  e di abnegazione del pericolo causati proprio dai dinamismi relazionali. Questo vuol dire che, nella maggior parte dei casi, quando si giunge nella fase in cui la donna denuncia le violenze subite o comunque attiva richieste di aiuto, il fattore criminogeno si è già largamente sviluppato rendendo più complicato la realizzazione dell’effetto deterrente delle misure attualmente disponibili.

<<Condivido ogni singolo pensiero dell’analisi fatta dal collega Prof. Impedovo>>, tiene a sottolineare la presidentessa di Fermiconlemani avv.ta Tiziana Cecere, <<I numeri parlano chiaro e le statistiche sono sempre le stesse.  E ogni volta ci si interroga: cosa non ha funzionato? A che punto siamo nel contrasto alla violenza di genere? Il primo punto è la prevenzione. Se da più di 40 anni il numero dei femminicidi non diminuisce, vuol dire che le politiche sino ad ora pianificate non funzionano a sufficienza, soprattutto non si è mai investito seriamente nella prevenzione e nella formazione. È fondamentale comprendere la natura della violenza maschile alle donne. Non si tratta di un problema di sicurezza, bensì di un fenomeno culturale.  Anche le nuove misure di recente modifica al “Codice Rosso” possono essere guardate con uno sguardo bonario ma non prevengono il fenomeno, arrivano quando è già avvenuto. Una prevenzione “seria” dovrebbe prevedere da un programma di sensibilizzazione focalizzato in particolare modo nel contesto scolastico,  avvalendosi della collaborazione di realtà costituite da professionisti di alta specializzazione come la nostra che ben conoscono i fenomeni e sono in grado di mettere in campo strumenti di educazione emotiva alla non violenza, facendo leva sullo sviluppo, sin da tenera età, della capacità di costruire relazioni basate sui principi di parità, equità, rispetto, inclusività. L’educazione dei bambini e delle bambine al rispetto di genere e il contrasto alla violenza domestica non può essere efficace a meno che non si operi soprattutto sui modelli culturali che sottendono, promuovono, e riproducono disparità di genere nella società. L’azione di prevenzione deve articolarsi in percorsi volti all’esplorazione, all’identificazione e alla messa in discussione dei modelli di relazione convenzionali, degli stereotipi di genere e dei meccanismi socio-culturali di minimizzazione e razionalizzazione della violenza.

Tutto questo Fermiconlemani lo mette già in campo a titolo volontario e gratuito per la collettività nel corso di molteplici e sistematiche iniziative all’interno di istituti scolastici di ogni ordine e grado, grazie allo spirito di servizio di tutti noi professionisti che crediamo nel valore strategico della prevenzione, con la speranza che presto le istituzioni governative comprendano che si tratta dell’unica via efficace per affrontare il fenomeno>>.

Omicidio Lupelli: un altro importante riscontro per la nostra associazione nella lotta ad ogni forma di violenza

Confermate in grado d’appello condanna e risarcimenti alle parti civili.

Ieri, 26 ottobre, è stata resa nota la sentenza d’appello nei confronti di Saverio Mesecorto, imputato per l’omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e rapina ai danni della 81enne Anna Lucia Lupelli, trovata morta nella sua casa al quartiere Carrassi di Bari il 13 settembre 2021, trafitta da otto coltellate.

Dopo la parziale rinunzia della difesa ai motivi d’appello (fatti salvi quelli relativi alla misura del trattamento sanzionatorio), la Corte d’Appello di Bari ha condannato l’imputato reo confesso alla pena ridotta di 23 anni di reclusione, a fronte dei 27 inflitti in primo grado.

Confermati i risarcimenti alle parti civili tra le quali vi è la nostra associazione, patrocinata dalla socia Avv.ta Daniela Corrado a cui vanno i più sentiti ringraziamenti per l’importante risultato ottenuto a riprova dell’elevata qualità professionale del team legale coordinato dall’Avv.ta Serena Zicàri, anch’ella costituita quale patrocinante delle figlie della vittima.

La sentenza diverrà definitiva una volta decorsi i termini ( quarantacinque giorni dalla pronuncia) per proporre ricorso per cassazione, circostanza allo stato assai poco probabile.

<< Grazie alla professionalità, competenza e dedizione di tutta l’equipe legale della mia associazione che ringrazio – tiene a sottolineare la presidentessa di Fermiconlemani l’avv.ta Tiziana Cecere -, continuiamo a stare al fianco di tutte le vittime di violenza, dando il nostro contributo affinché riconquistino pienamente ciò che è stato loro tolto, moralmente, psicologicamente e legalmente. Questo nuovo risultato processuale, che arriva dopo numerosi altri, può considerarsi un ulteriore tassello nell’esperienza della nostra associazione, a costante valorizzazione del lavoro di prevenzione e contrasto ad ogni forma di violenza svolto quotidianamente sul campo, attraverso attività d’informazione, ascolto, assistenza legale, contatto con i servizi territoriali e dunque attraverso la creazione di una rete di concreto sostegno alle vittime. Riconoscere ad associazioni antiviolenza come la nostra la legittimazione a stare in giudizio quale parte danneggiata dai reati contestati al maltrattante e, contestualmente il diritto ad essere risarcite, è una conquista di altissimo valore civico al fine di ribadire che la violenza, perpetrata in qualsiasi forma o contesto, ha una ricaduta oltre che nella sfera individuale delle vittime, anche in quella collettiva, in un’ottica di responsabilità dell’intera società>>.

Qui i dettagli di cronaca: https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/bari/1441359/bari-addetto-delle-pulizie-uccise-un-anziana-condanna-ridotta-a-23-anni-in-appello.html

Alcolismo: una dipendenza che genera violenza

L’alcolismo è una delle più gravi forme di dipendenza patologica, che può sfociare anche in episodi di violenza, verso sé stessi o il prossimo.

A cura di: Dott. Marco Magliozzi, psicologo e socio fondatore di Fermiconlemani

L’alcolismo, ovvero la dipendenza da alcol, è uno dei disturbi più diffusi nel mondo.

Secondo le stime, ne soffre il 4,1% della popolazione mondiale oltre i 15 anni!

Le persone con questa dipendenza assumono ingenti quantità di alcol, con conseguenze molto gravi sia sul fisico sia sulla mente.

Non solo: l’alcolismo è anche associato a numerosi sintomi comportamentali molto pericolosi, come guida in stato d’ebbrezza o gesti di violenza, fisica e verbale, verso sé stessi o il prossimo.

Arginarne le cause e lavorare sulla prevenzione risulta quindi essere di fondamentale importanza e l’associazione Fermiconlemani si impegna in tal senso, offrendo un sostegno multidisciplinare: psicologico, giuridico e sociale.

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